IMPAZZA LA GUERRA CIVILE IN SUDAN: COSA STA SUCCEDENDO

La guerra civile esplosa in Sudan il 15 aprile scorso con il tentato golpe delle forze paramilitari del generale Hemedti – contro l’esercito nazionale guidato dal generale-Presidente Abdel Fattah al-Burhan, a sua volta in carica dopo il colpo di stato contro il dittatore Al Bashir nel 2019 – non accenna ad esaurirsi, anzi. Dopo l’ennesimo bombardamento che ha colpito la popolazione nella capitale Khartoum e dopo i raid e gli attacchi nella “gemella” città sul Nilo, Omdurman, il rischio di un conflitto globale è sempre più paventato in quella parte di Africa.



Gli scontri sono sempre più feroce tra l’esercito guidato dal generale Abdel-Fattah Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) del “rivale” Mohammed Hamdan Dagalo “Hemedti”: insieme avevano condotto il golpe nel 2021 contro il Governo di transizione messo lì dall’Occidente, ma per 18 mesi si sono sfidati a colpi di mosse “politiche” per provare a bloccare la transizione democratica, fino al fatidico 15 aprile quando il colpo di stato è stato tentato da Hemedti e dalle sue forze paramilitari. Negli scorsi giorni il segretario di Stato americano per gli affari africani, Molly Phee, si è recato ad Addis Abeba per incontrare i leader africani e civili sudanesi su come porre fine al conflitto in Sudan. Finora però la diplomazia ha sostanzialmente fallito e dopo i primi giorni di guerra civile che avevano risvegliato le cronache internazionali, ora del conflitto in Sudan se ne occupano davvero in pochi in Occidente.



SUDAN, ALLARME DA ONU E CHIESA: “SI RISCHIA UNA GUERRA TOTALE”

«In questo momento uno dei fronti più caldi della guerra è la città di Omdurman, un enorme distretto urbano alle porte di Khartoum, che l’esercito regolare cerca di strappare al controllo dei ribelli»: lo racconta un missionario italiano a “Vatican News”. Il sacerdote – che rimane anonimo per non danneggiare i delicati equilibri che sottendono alla sopravvivenza dei suoi confratelli in Sudan – ha vissuto 30 anni a Khartoum e ora fa la spola con l’Italia restando in contatto con le comunità religiose nel Paese: «Il vescovo e la maggior parte dei religiosi di Khartum – racconta il missionario alla stampa vaticana – si sono trasferiti per motivi di sicurezza a Port Sudan, mentre a Kosti nel sud e a El Obeid nell’ovest i vescovi e il clero sono rimasti al loro posto e questo è un grande segno di speranza».



La popolazione in questo particolare momento di sostanziale guerra civile (solo sabato scorso un bombardamento nel distretto di Omdourman ha provocato la morte di 22 civili) soffre oltre ai raid anche la quasi totale mancanza di servizi essenziali: cibo, acqua, elettricità, manca davvero tutto. «I religiosi che sono ad El Obeid per ricaricare i cellulari impiegano una giornata intera con un panello solare e volte non ci riescono proprio. Non so come facciano le famiglie a sopravvivere – conclude – abbiamo provato a mandare degli aiuti dall’Italia ma le banche sudanesi non funzionano e l’aeroporto di Khartuom è chiuso, è una situazione di blocco totale». Il monito dell’ONU arriva forte dopo gli appelli delle scorse settimane: in quasi tre mesi di guerra civile i morti sono almeno 3mila e il bilancio sembra essere continuamente sottostimato: «Il Sudan sta per precipitare in un conflitto totale che potrebbe destabilizzare l’intera regione», con particolare attenzione al tema degli sfollati: quasi tre milioni di sudanesi sono stati costretti a lasciare le loro case, tra questi sfollati più di 600 mila sono andati all’estero, principalmente in Egitto e in Ciad. Sono poi aumentati, chiarisce l’ONU, i casi di abusi e violenze sui civili e in particolare contro le donne.