Il Sudan precipita nuovamente nello spettro del genocidio dei Masalit, la popolazione nera che vive nella regione che ha già sofferto lo stesso dramma due decenni fa. All’epoca il governo di Omar al-Bashir, con l’uso delle milizie, aveva preso di mira circa 300mila persone, che furono uccise barbaramente. Oggi i “diavoli a cavallo” hanno cambiato nome e sembianze: si chiamano Rapid Support Forces e sono confluiti in un gruppo paramilitare nato nel 2013: ne farebbero parte circa 100mila uomini, spiega il Sole 24 Ore. Si tratta di un gruppo classificato come “regolare” nel 2015: il capo è lo stesso di vent’anni fa, Mohamed Hamdan Dagalo.
Le violenze etniche sono state denunciate a lungo nel Darfur, soprattutto nella parte occidentale. La guerra è iniziata nell’aprile del 2023 tra l’esercito regolare del generale al-Buhran e i paramilitari di Hamdan Dagalo, chiamato “Hemetti”. I due nel 2021 avevano collaborato ad un golpe ma l’intesa si è poi rotta, portando allo scoppio della guerra civile. Il conflitto, iniziato nella capitale, via via è arrivato ad interessare l’intero Paese, minacciando i confini con il Sud Sudan. Al momento sono “in vantaggio” le milizie dell’Rsf. L’Onu a metà ottobre aveva parlato di almeno 9mila vittime ufficiali, più quelle disperse. Sarebbero 6,4 i milioni di sfollati, con 5,1 milioni di persone in fuga fuori dai confini: molti di questi viaggiano verso il Ciad. La situazione si ripercuote anche sull’economia con un crollo del Pil fino al 20% nel 2023.
Sudan, le tragiche conseguenze della guerra in corso
La situazione in Sudan è disastrosa per quanto riguarda le perdite di vite umane ma non solamente. Anche l’economia, già precaria, ne sta risentendo in maniera importante. “Gli sfollati non possono avere un reddito, l’inflazione cresce e rispetto a 20 anni fa l’assistenza è minore” spiega Khartoum Jeanguy Vataux, capo-missione della Ong Medici senza frontiere in Sudan. A inizio duemila “c’erano dei posti dove si poteva trovare riparo. Ora no” spiega. Sono tanti i sudanesi dispersi dall’inizio del conflitto, così come tanti sono gli ospedali chiusi. Rsf e milizie arabe alleate da tempo bombarderebbero inoltre i centri di sfollamento nella regione, sorti con la vecchia guerra.
Tante anche le violenze, che includono rastrellamenti, esecuzioni e stupri come racconta invece Leatitia Bader, direttrice per il Corno d’Africa di Human Rights Watch. “Parliamo di migliaia di morti” afferma al Sole 24 Ore. Solo a inizio novembre, un’incursione nel Darfur occidentale ha provocato 800 vittime. Per le Rsf non è loro la responsabilità ma dell’esercito regolare: un botta e risposta che va avanti da mesi. La situazione è sempre più tragica e il rischio concreto è quello di un nuovo genocidio nel Darfur. Oggi, però, può essere ancora peggio di vent’anni fa.