LA SENTENZA CHOC IN UK: “MOLLY RUSSELL, SUICIDA 14ENNE ISTIGATA SUI SOCIAL”
Sta facendo discutere e non poco la sentenza della Corte di Londra in UK sulle tragiche sorti di Molly Russell, la 14enne morta suicida nel 2017 per «effettivi negativi dei contenuti online», di fatto dunque «istigata sui social network». I fatti sono purtroppo noti: Molly si è suicidata 5 anni fa dopo aver visionato diversi centinaia di contenuti social in merito a suicidio, autolesionismo e depressione. Per questo Andrew Walker, il coroner a capo dell’inchiesta sulla morte della ragazzina, ha concluso negli scorsi giorni dopo la denuncia fatta dalla famiglia Russell contro i social, «Un atto di autolesionismo mentre soffriva di depressione e degli effetti negativi dei contenuti online». La triste sorte di Molly Russell ha assunto echi ancora più globali dopo il messaggio lanciato su Twitter dal Principe del Regno Unito William e dalla Principessa Kate: «Nessun genitore dovrebbe mai sopportare ciò che la famiglia Russell ha passato. Sono stati incredibilmente coraggiosi. La sicurezza online per i nostri bambini e giovani deve essere un prerequisito, non un aspetto secondario».
Un po’ come la storia della studentessa novarese Carolina Picchio che nel 2013, a 14 anni, si lanciò dalla finestra di casa dopo essere stata vittima di cyber bullismo: tra l’altro il padre Paolo Picchio in questi giorni – proprio dopo la sentenza in UK – ha chiesto di alzare i limiti di età per l’accesso ai social. Tanto nel caso di Carolina quanto con Molly, il confine tra istigazione e “ispirazione” è assai labile: scrive ancora la sentenza importante del Regno Unito, «Alcuni di questi contenuti online erano particolarmente espliciti nel descrivere l’autolesionismo e il suicidio come una conseguenza inevitabile di una malattia da cui non si poteva guarire, e senza alcun contrappunto». Il medico legale ha poi puntato il dito contro gli algoritmi sviluppati dagli stessi sociale che tenderebbero a proporre «contenuti simili a quelli visti in precedenza».
CALÒ (PSICOTERAPEUTA): “SUICIDA ISTIGATA DAI SOCIAL? ALGORITMO AMPLIFICA IL DISAGIO”
Proprio sul concetto dell’algoritmo e in generale del rapporto tra social e tragedie come quelle di Molly Russell, è intervenuto su “Il Giornale” lo psicoterapeuta Andrea Calò: «Per arrivare al suicidio non è necessario avere alle spalle chissà quale dramma e trauma familiare», spiega l’esperto facendo esplicito riferimento a storie assai simili a quelle della povera 14enne morta suicida “per colpa” dei social, «Spesso basta cercare sui social qualche argomento che riguardi la morte o l’autolesionismo e da quel momento sull’homepage compariranno temi attinenti che non faranno altro che rafforzare quella che magari all0inizio era solo una curiosità da adolescenti».
Sempre secondo l’esperto psicoterapeuta Calò, tale comportamento dei social network spesso può provocare nei giovani più fragili un isolamento sempre più serrato fino, addirittura, a togliersi la vita considerandolo «un atto quasi normale, un gesto da cui sono sempre più attratti». Dalla crescita esponenziali di malattie e fenomeni come la anoressia e bulimia, fino a complessi meccanismi di autolesionismo e profonda depressione, il rapporto tra giovani (ma non solo) e social diviene sempre più complesso e va compreso al più presto per provare a porvi rimedio: secondo Calò, sempre sul “IlGiornale”, «i social hanno rimpiatto le ore di noia dei nostri figli e quindi hanno levato il tempo per desiderare, per progettare». Si amplifica, aggiunge l’esperto, la spinta alla trasgressione che in adolescenza dovrebbe essere normale e «controllabile»: l’algoritmo stesso con cui sono fatti i social network è come se «amplificasse il disagio» presente in parte o già del tutto all’inizio. I genitori cosa possono fare in concreto? Secondo lo psicoterapeuta Calò, possono certamente «mettere il timer e limitare il tempo dei propri figli sui social e ben vengano le app che controllano i contenuti e permettono di vigilare sulle attività dei ragazzi». Ma non basta: occorre un dialogo sempre più costruttivo ed educativo tra adulto e ragazzo; un esempio da poter seguire e un desiderio di vita da tenere sempre più “acceso” e non “deluso” di continuo come purtroppo troppo spesso vengono trattati – con accondiscenda e senza stima – i propri stessi giovani figli e alunni.