Settimana scorsa, nella Stazione Carabinieri di Asso in Provincia di Como, il Brigadiere Antonio Milia ha inseguito e freddato con la pistola di ordinanza il proprio Comandante di Stazione Luogotenente Doriano Fulceri. Tre colpi di cui uno finale alla nuca. Poi si è asserragliato in caserma fino a tarda notte. Alla fine durante il suo arresto ha ferito anche un Carabiniere del GIS. Milia era stato per molto tempo fuori servizio per problemi psichici, era stato riammesso da un’apposita commissione medica.



Il Luogotenente Fulceri non era d’accordo con questa decisione, e ha pagato con la vita questa sua presa di posizione. Ora la Procura di Como indaga sulla decisione presa dalla commissione medica che ha riammesso Milia. Il Brigadiere Milia era uso lasciare nei corridoi della caserma, perché fossero trovati, dei post-it di accusa ai colleghi e al comandante per le sue condizioni personali e familiari.Credeva che tutti ce l’avessero con lui.



Qualche tempo fa è stato un Maresciallo della Finanza di Pistoia a compiere l’insano gesto. Ha fatto allontanare il collega dalla Sala Operativa con una scusa. Poi ha diffuso ad amici, colleghi e alla stampa locale un tremendo j’accuse verso le istituzioni. Infine si è seduto alla scrivania e si è tolto la vita con la pistola di ordinanza. “Preciso che questo mio gesto è legato esclusivamente alle vicende lavorative”, inizia cosi…e conclude…m”questo nuovo impiego a cui sarò destinato ha suscitato in me una forte tensione emotiva dovuta anche allo stress che ho accumulato nel corso degli anni di servizio poiché sono stato impiegato anche in turni di 12/18 ore continuative o senza rispettare l’intervallo tra un turno e l’altro che deve essere di 11 ore” … “ai miei funerali non voglio che ci sia la rappresentanza della Guardia di Finanza ma solo gli amici in abiti civili, che ho conosciuto nel corso degli anni travagliati trascorsi nel corpo”.



Questa volta l’arma di Antonio Milia è stata rivolta verso il Comandante. Ma dall’inizio dell’anno, oltre ai due fatti enunciati, ci sono stati 45 suicidi in divisa. Un dato preoccupante. Una strage silenziosa su cui si accendono i fari dello sdegno al momento della tragedia. Ma che subito dopo, troppo presto, viene dimenticata. Lo stato minimizza, quasi nega, ma il dato rimane. I suicidi nelle Forze Armate e di Polizia, in percentuale, sono circa doppi che nel resto della popolazione. Compresi i casi di vizio mentale assenti tra poliziotti e militari.

Dopo l’omicidio di Asso, per la prima volta il neo ministro della Difesa Guido Crosetto si è espresso in pubblico. Ha affermato che tali fatti non devono più succedere. Il Ministro ha anche annunciato che il supporto psicologico per gli appartenenti alle Forze Armate deve essere ripensato. È stata la prima volta. Di solito questi fatti, come pietre durissime, rimbalzano, ignorate dal muro di gomma del mainstream. Affondano nelle sabbie mobili delle questioni scomode.

Oltre ai due marescialli, nel mese di agosto 2022, sono caduti per mano propria un finanziere, tre poliziotti e un carabiniere. Un agente penitenziario ha tentato il suicidio senza riuscirci. Quest’anno la quota maggiore di suicidi nel comparto Polizia e Difesa si è verificata nella Polizia di Stato con 15 casi. Poi ci sono i Carabinieri con 10 casi. Al terzo triste posto la Guardia di Finanza con 9 casi. In tutto 46 dolorosi casi di disagio inascoltato. L’Osservatorio Suicidi in Divisa ci segnala per il 2019 sessantanove casi di suicidio. Numero in percentuale molto superiore a quello di ogni altra categoria professionale. Nel 2020 si scende a cinquantuno suicidi. Di cui 15 nei Carabinieri, 9 nella Polizia e 6 nella Finanza. Sempre l’Osservatorio Suicidi in Divisa segnala per il 2021 cinquantasette casi, tra cui il triste record spetta, come si è detto, all’Arma dei Carabinieri con 23 militari, seguita dalla Polizia di Stato con 8 caduti e 5 della Guardia di Finanza.

Il conto delle morti però è verosimilmente maggiore vista la ritrosia delle famiglie ad ammettere e il verificarsi dell’insano gesto. Il numero è considerevole e ci obbliga a ragionare. Alle insondabili cause personali presenti in ogni avvenimento, va aggiunto il disagio di chi veste l’uniforme. Questo emerge soprattutto dagli scritti degli ultimi due carnefici o vittime in divisa.

Lo Stato pretende dai suoi servitori armati un grande sforzo che spesso li porta lontano dai normali rapporti sociali. Il personale in divisa vive tra due mondi. Quello quasi monastico laico della caserma con le sue regole assolute e i suoi dogmi. Quello esterno alla caserma dove tutto è negoziabile e contestualizzato. L’ordine e la disciplina necessari per il buon funzionamento della polizia e delle forze armate sono concetti assoluti che collidono pesantemente con il sempre maggiore lassismo e relativismo che impregna il nostro tempo. La violenza controllata, e l’impegno totale perno della “Legge che difende e che colpisce” esige grande forza morale e nervosa e un assoluto equilibrio psichico. Le esigenze familiari e personali sono spesso in aperto conflitto con gli impegni del servizio. Il contrasto tra questi scenari quotidiani e lo stress che ne consegue può fiaccare la personalità più forte e mettere in crisi la famiglia più salda. Per questo lo Stato non può trascurare il benessere psichico del personale in divisa. Anzi, si deve impegnare per mantenere l’equilibrio e la salute mentale nervosa dei suoi dipendenti ai massimi livelli non esitando a sollevare dall’incarico il personale per prevenire fatti anche meno che gravi di quelli di Asso e Pistoia.

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