Il Comitato Nazionale di Bioetica il 29 luglio ha espresso un parere equilibrato e documentato sul tema del suicidio assistito. Utile per conoscere le varie opinioni in sede al Comitato stesso, senza che si spingesse in giudizi in merito a future prese di posizioni legislative. Per questo è un testo utile e per questo non si capisce perché qualche giornale nazionale lo voglia vedere come più utile al sì verso il suicidio assistito. In sostanza, come si legge nelle dichiarazioni finali, il Cnb chiede di: a) stimolare il dibattito, b) inquadrare il problema in uno scenario più ampio, c) informare il paziente sui possibili trattamenti, d) consentire l’accesso alle cure palliative, e) promuovere un dibattito civile sul fine-vita, f) promuovere la ricerca scientifica in questo ambito.

Insomma, un rapporto onestamente interlocutorio, che serve a mettere le basi di un dibattito serio su un tema serio e doloroso. Perciò non vorremmo che qualcuno – qualunque fazione – si impadronisse di un serio documento per portare acqua al suo mulino. Anche perché il documento è utile per conoscere le posizioni in campo, e per farsi un’idea, aderire, dissentire, ma tutto in maniera documentata e civile.

Comunque non possiamo non riconoscere che il Parere è lo spunto per uscire dalla dinamica delle contrapposte tifoserie, e metterci di fronte ai due reali protagonisti della tragedia del suicidio: il soggetto e la società. Il primo, frutto di un mondo che isola e abbandona, che fa passare per libertà la determinazione “in solitudine”, che porta poco aiuto a chi ha necessità di cure: sia palliative, sia antidepressive, antidolorifiche o socio-economiche. La seconda, che vede attentare alla sua stessa ragion d’essere nel momento in cui si attenta in qualche maniera all’intangibilità della vita umana, sia essa per la via del terrorismo, della guerra, dell’eugenetica, della pena di morte, della morte inferta al malato grave o al possibile suicida.

Su questi due punti, come i due fuochi di un’ellisse, occorre riflettere.

Non possiamo pensare che una società che abbandona e che fa del successo e della performance dei miti, non produca sentimenti di morte e autodistruzione. Considerato anche che la depressione e la vecchiaia con gli acciacchi gravi che comporta diventano statisticamente sempre più preponderanti, bisognerebbe che la società mettesse la cura delle fragilità (adolescenza, povertà, disabilità, vecchiaia) in primo piano nei piani sanitari, nelle leggi finanziarie, negli accordi tra Stati. Così non è stato da sempre, e queste sono le conseguenze: sempre più persone si sentono sole, ancora poche hanno accesso alle cure dovute di alto livello medico e sociale, quindi la disperazione diventa un tratto tipico delle società evolute.

D’altronde non possiamo pensare che la società non senta come fondante l’intangibilità della vita del singolo, non tanto come fattore riconosciuto religiosamente, ma perché dare la morte o lasciar morire è un fattore disgregante, antiaggregante, antisociale: è il segnale che il tessuto cooperativo è rotto, e non può tollerarlo, salvo decretare la propria inutilità e fine. Accettare il suicidio in certe condizioni mediche, significa per la logica impedire anche di salvare il suicida che si getta dalla finestra: chi si azzarderà a salvarlo per poi essere denunciato? Potrà qualcuno sostenere che il diritto al suicidio è solo quello riconosciuto da un’equipe di medici? Quale sarà l’effetto-emulazione?

Chi scrive questo articolo auspica un accesso alle cure per tutti, una sanità inclusiva e abbondante (invece che basata sui costi/benefici); crede che l’eccesso di trattamenti sia insensato e che in particolare i trattamenti stressanti debbano essere banditi quando il soggetto non è in grado di sopportarli. Ma vede come negativo pensare di burocratizzare il suicidio e farlo diventare quel che non è, cioè un atto medico.

Il Cnb aiuta a riflettere su questi temi. E non si spinge a dare normative o indicazioni legislative. Non venga dunque tirato da un lato o dall’altro (leggetelo bene, per favore!), quando esso stesso ha ben valutato di mantenere un saldo e sano equilibrio.