DOPO FIRENZE ANCHE MILANO RINVIA ATTI ALLA CONSULTA SUL SUICIDIO ASSISTITO: I “TRE CASI” CAPPATO OLTRE A DJ FABO
Saranno in tutto tre i casi “pendenti” presso la Corte Costituzionale riguardo il tema del suicidio assistito con tutti il medesimo indagato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato. E così con la sentenza attesa nelle prossime settimane presso la Consulta saranno due le “leggi” scritte dal massimo organo costituzionale del Paese nate da casi di autodenuncia di eutanasia dello stesso leader radicale: nel 2019 la prima storica sentenza sul caso Dj Fabo-Cappato, ora gli altri tre casi legati tre malati con gravi disabilità che hanno richiesto una revisione delle norme in Consulta che possa consentire il suicidio assistito anche oltre i 4 criteri fissati dai giudici togati.
Massimiliano a Firenze, Romano e Elena a Milano: questi i tre casi dove l’Associazione Coscioni spinge affinché la Consulta possa aprire alla “dolce morte” anche per chi non è direttamente mantenuto in vita artificialmente. Dopo l’ultima udienza pubblica della Corte Costituzionale lo scorso 19 giugno (sul caso di Firenze), il gip di Milano Sara Cipolla ha trasmesso altri due casi sempre alla Consulta affinché possa valutare la piena legittimità costituzionale del reato di “aiuto al suicidio” di cui risponde sempre Cappato dopo autodenuncia. Il politico radicale ha accompagnato in Svizzera, presso una clinica specializzata in eutanasia, due persone poi decedute tramite il suicidio assistito: Romano, 82enne ex giornalista con grave forma di Parkinson; ed Elena Altamira, 69enne malata terminale di cancro. La Procura di Milano per Cappato e per altri membri dell’Associazione Coscioni ha chiesto l’archiviazione ma il gip ha deciso di seguire l’esempio di Firenze trasmettendo anche qui gli atti alla Corte Costituzionale in quanto ritiene «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 580 del codice penale». Soprattutto nella parte in cui la precedente legge-sentenza della Consulta definisce la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di «aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita».
EUTANASIA ANCHE SE NON SI È ATTACCATI AL RESPIRATORI: IL RISCHIO È SEMPRE PIÙ CONCRETO…
Il tema controverso e molto delicato all’interno della nuova sentenza attesa (forse) per inizio-metà luglio in Consulta riguarda per l’appunto il trattamento di sostegno vitale: è su questo che si sono scontrati gli ultimi casi di suicidio assistito richiesti ma non ottenuti proprio per quanto scritto nella prima sentenza della Consulta dell’autunno 2019. Nelle norme nate dal caso Dj Fabo veniva chiarito che avesse diritto il paziente ad un suiciio assistito garantito dallo Stato solo se, tra gli altri criteri, valga anche la presenza di trattamento di sostegno vitale: da Massimiliano ad Elena fino a Romano, i tre casi di cui oggi è accusato Cappato per aiuto al suicidio – avendoli accompagnati in Svizzera presso la clinica “Dignitas” a Zurigo – non rientrano in quelle condizioni ma richiedono lo stesso l’assistenza per togliersi la vita.
È per questo che dietro alla sentenza su cui dovrà pronunciarsi la Consulta grava il peso di una possibile apertura quasi “piena” all’eutanasia per legge: dopo le “DAT” (disposizioni anticipate di trattamento) e la legge sul diritto alle cure palliative, le due sentenze sul suicidio assistito che la Corte si appresta a garantire puntano ad “imporre” al Parlamento il dover legiferare in merito. «Abbiamo aiutato Massimiliano perché lo ritenevamo fosse nostro dovere farlo per aiutarlo a interrompere una situazione di tortura a cui era sottoposto. Se tornassimo indietro lo rifaremmo per lui e per tutte le persone che sono nelle sue condizioni», così ha spiegato durante l’udienza pubblica della scorsa settimana lo stesso Cappato assieme agli altri indagati sul caso di Firenze (Felicetta Maltese e Chiara Lalli, entrambe dell’Associazione Coscioni). Proprio durante la seduta in Consulta si sono confrontate le tesi della difesa di Cappato e l’Avvocatura di Stato, in quanto il Governo si è costituito parte civile sulla vicenda. I tre casi ormai “pesano” anche a livello mediatico e così la Consulta si trova a dover decidere qualcosa di molto delicato: Cappato con la Coscioni punta a far riconoscere ogni farmaco o terapia salvavita come il “macchinario per la respirazione”, criterio fissato dalla sentenza 2019 sul caso Dj Fabo. Di contro, giuristi, medici e parte del Governo vorrebbero mantenere il diritto alla vita e non aggiungere in Costituzione un “diritto alla morte”.