Marco Cappato è tornato in Svizzera per accompagnare a morire una donna di 69 anni, affetta da tumore al polmone con varie metastasi, ma non dipendente da dispositivi di trattamento di sostegno vitale. In un tweet, lunedì pomeriggio, ha scritto: “Sto accompagnando in Svizzera una signora gravemente malata. Solo lì può ottenere quello che deve essere un suo diritto. Sarà libera di scegliere fino alla fine”. Ieri, con un altro tweet, ha annunciato:  ”Elena ha appena confermato la sua volontà: è morta, nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso”.



La morte on demand, come diritto che può essere esigito quando e come si vuole: è la grande battaglia che da anni Cappato porta avanti con tenacia e determinazione, senza fermarsi davanti a ostacoli di qualsiasi tipo. Per Marco Cappato si tratta di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la donna non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, e il caso quindi non rientra tra quelli previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. L’ex eurodeputato radicale rischia quindi la condanna fino a 12 anni per aiuto al suicidio. Ma per Cappato non è un problema; la sua è una sfida al sistema politico attuale, e sembra in qualche modo riecheggiare la famosa partita a scacchi con la morte che Bergman ha posto al centro del Settimo sigillo.



Giocare a scacchi con la morte

Il Settimo sigillo è uno dei film cult della mia adolescenza e confesso che ogni volta rimanevo sorpresa davanti agli appuntamenti con la Morte di Antonius Block, un crociato che appena tornato dalla Terra Santa si imbatte nella peste, che sta devastando il suo Paese. Quel film, capolavoro assoluto di Bergman, mi viene in mente ogni volta che sento Cappato annunciare la morte di un’altra persona, in genere affetta da gravi sofferenze fisiche e psichiche. Sono persone che meritano tutta la nostra comprensione, ma ci stupiamo che vogliano morire a qualsiasi costo, come unico desiderio e come se avessero perso interesse per qualsiasi altra cosa. Ma mi sorprendo anche a pensare come risulti perfino poco credibile che la proposta di Marco Cappato non trovi alternative per il paziente e per la sua famiglia. Eppure la stessa sentenza della Corte costituzionale parla delle cure palliative come di una sorta di conditio sine qua non per poter accedere all’eutanasia, proposta come suicidio medicalmente assistito.



Mi stupisce come Cappato abbia la rara capacità di andare a cercare queste persone, una a una, per mettersi a loro disposizione, come un vero e proprio angelo della morte. Dove c’è Marco Cappato, c’è sempre sapore di morte. Dove c’è lui si intuisce che la morte si sta avvicinando, a poco a poco, con passi prima felpati e poi sempre più veloci e martellanti. Un po’ come accade al Crociato nel film di Bergman. Vorrebbe allontanarsi, cerca soluzioni alternative, ma la morte lo insegue e lo incalza, ricordandogli che morire è un suo dovere e non deve aver paura. 

La morte si presenta ad Antonius Block, sorprendendolo ogni volta, insinuando, anche nel famoso colloquio in confessionale, che ormai è giunto il suo appuntamento definitivo. Cappato ha imparato a parlare di morte come di un diritto, il diritto dei diritti, quello con cui si può dire di No alla vita, riaffermando il proprio protagonismo esistenziale. Senza paura, perché lui sarà e resterà comunque al fianco, di chi ha deciso di morire, combattendo tabù e pregiudizi, vincoli burocratici di ogni tipo, comprese possibili ripercussioni penali. Come accade nel Settimo sigillo, Cappato gioca a scacchi con chi probabilmente desidera morire, per fargli vincere la posta in gioco: una morte sicura e senza dolore. Ma senza mai insistere sulla possibilità di sperimentare le cure palliative, come soluzione alternativa. Non ho mai sentito Cappato parlare di cure palliative, apprezzarne il valore e l’efficacia. Mi sembra invece di vederlo sussurrare ai pazienti di cui si prende cura che si tratta del massimo bene possibile: la libertà di morire quando e come vuole, mentre gli garantisce un non invidiabile successo. Sollecita la sua libertà di decidere autonomamente, insistendo sul fatto che solo la sua volontà potrà decidere quando, dove e come morire. Un atto con cui riafferma il suo potere in modo perfetto e irripetibile. 

In definitiva

A Cappato evidentemente piace svolgere un ruolo molto particolare con questi pazienti; una sorta di psicoterapia di accompagnamento alla morte, che lui svolge forte della convinzione che la morte sia un diritto da esigere quando e come si vuole. Tra le persone che lo cercano e sollecitano da lui le informazioni necessarie per morire anticipando la morte spesso perché il dolore è insopportabile; o perché la perdita di autonomia rende la vita meno degna di essere vissuta; o perché ci si sente di peso per gli altri e non sembrano esserci più ragioni per vivere, Cappato prova a capovolgere la prospettiva. Suggerisce che la loro fragilità si può trasformare in forza; la loro dipendenza in autonomia; la loro disabilità in sfida al sistema: sono persone che sanno cosa vogliono e possono realizzare un progetto speciale che li riguarda senza alcun timore di fallire. Sono protagonisti della loro vita e possono porvi fine quando e come vogliono, riuscendo in un’impresa pressoché impossibile per tutti gli altri. Anzi, possono essere testimoni di una campagna per i diritti umani del tutto innovativa, forzando i limiti di una legge che non c’è.

Con Marco Cappato il successo è assicurato e possono contare anche su di un impatto sociale dai riflessi mediatici inoppugnabili. La stampa, le TV, il web stesso: tutti parleranno di lui, con rispetto, sottolineando la sua forza di volontà, il coraggio. Non sono falliti, sono pionieri di una nuova avventura, in cui agli uomini è dato di dominare la vita e la morte. Cappato gradatamente assume un ruolo strategico in questa partita a scacchi con la morte e poiché sa come rispondere a dubbi e incertezze, rilancia in questa partita il nuovo diritto faticosamente conquistato anche grazie a lui, vero crociato della morte. 

La sua campagna per la libertà di morire, quando e come si vuole, non conosce soste; ha bisogno però di nuovi testimoni che mostrino nei fatti la solidità della sua teoria sulla centralità del diritto a morire. Non si conoscono altre attività di Marco Cappato, il suo impegno instancabile in questo campo non gli lascia spazio né tempo per altre attività. Un ruolo politico decisamente originale che lo colloca a metà strada tra un movimento che fa dei diritti umani il suo brand e un’impresa di pompe funebri, dal momento che l’unico diritto che Cappato nei fatti è impegnato a tutelare a oltranza è quello di morire quando e come si vuole.

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