Sembra una storia infinita, quella del rapporto tra la Corte costituzionale e il fine vita. A Palazzo della Consulta i giudici costituzionali sono riuniti da alcuni giorni in Camera di consiglio per prendere delle decisioni ancora una volta in merito. Da una parte si dibatte dell’estensione del cosiddetto diritto a morire, ossia al suicidio assistito, e dall’altro si tutela il diritto di pazienti che non vogliono morire a ricevere tutte le cure necessarie per continuare a vivere nel modo più dignitoso.
Questa volta infatti c’è una differenza sostanziale: al centro del dibattito non c’è il diritto a morire quando e come voglio, perché il dolore rende insopportabile la mia vita o perché la disabilità sembra annientarne la dignità. Questa volta il quesito è stato posto da un gruppo di malati, quattro per l’esattezza, e il tema centrale è il diritto dei pazienti ad ottenere le cure necessarie per vivere con dignità quel che resta della loro vita. Un diritto peraltro chiaramente difeso anche dalla nostra Costituzione, che ne parla come di un diritto fondamentale.
Ma ad oggi i giudici non si sono ancora espressi e tutti attendiamo titubanti quel responso. Il ritardo della Corte costituzionale impaurisce e spaventa quell’universo di malati gravi che, nonostante tutto, vogliono continuare a vivere. Sono convinti che ne valga la pena. Mercoledì, durante l’udienza pubblica della Corte, sono stati ascoltati con attenzione; sono tutti affetti da patologie irreversibili, ma sono anche pienamente in grado di prendere decisioni autonome.
La loro tesi, chiara e netta, si oppone all’eliminazione del requisito di trattamento di sostegno vitale, prevista dalla Corte costituzionale nella sentenza 242 del 2019, perché questo affievolirebbe la protezione del diritto alla vita. Secondo Maria Letizia Russo, che si è intrattenuta a lungo con i giornalisti prima di essere ascoltata dalla Corte, i giudici costituzionali nella loro sentenza devono mantenere il requisito del trattamento di sostegno vitale: “Ci potrebbe essere un momento di sconforto e il diritto all’autodeterminazione sarebbe viziato dal dolore e dal peso che rappresento per la mia famiglia.
La scelta di morire diventerebbe una decisione viziata. Una volontà viziata”. I quattro malati vogliono vivere e chiedono alla Corte di rimanere fedele alla sua stessa decisione, anche se altri voglio smantellarla per spalancare le porte all’eutanasia.
Ma la Corte ancora non si esprime: ciò che sembrerebbe giusto e facile, come confermare una propria decisione e farsi carico del diritto alla vita dei più fragili tra i fragili, resta ancora sospeso nell’aria. E c’è chi comincia a pensare che il desiderio di morire sia proprio duro a morire e conti più del desiderio di vivere. Tutti sappiamo che, comunque si esprima la Corte costituzionale, Marco Cappato continuerà la sua crociata di araldo della morte, sostenuto dall’Associazione Coscioni. Per lui non ci sarà mai altra risposta valida se non quella che, coincidendo con il suo personale punto di vista, porterà all’approvazione di una legge che già l’opinione pubblica definisce come la legge sull’eutanasia.
La sua disobbedienza civile sta diventando monotona e ripetitiva, ma lui continua a riproporla con insistenza per mantenere vivo lo pseudo-diritto di chi vuole morire on demand. Ma, una volta tanto, i malati vorrebbero vedere, toccare con mano, che la Corte costituzionale è dalla loro parte, che non sono soli davanti a una sorte indubbiamente difficile da accettare. Sperano, si augurano, che le Istituzioni si schierino dalla loro parte.
Ma il ritardo, il silenzio, istillano dubbi pesanti nel loro cuore e nella loro anima. Perché la Corte non risponde; perché impiega tanto tempo a confermare sé stessa; perché dimentica quel famoso articolo 32 che per la prima e unica volta parla di diritto fondamentale ed è proprio il diritto alle cure…
Eppure anche l’Avvocatura di Stato pochissimi giorni fa si è espressa in udienza davanti alla Corte costituzionale affermando con chiarezza: “Non c’è un diritto al suicidio né l’obbligo dei medici di concorrere a una volontà suicidaria”. Per l’Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza della presidenza del Consiglio dei ministri, la questione sollevata dal gip di Milano sull’articolo 580 del codice penale va dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.
Quando Maria Letizia Russo, Dario Mongiano, Lorenzo Moscon e P.F. sono stati convocati dalla Corte hanno davvero pensato che finalmente avrebbero ottenuto giustizia. Ma l’attesa si sta facendo così dura che c’è il timore che le cose vadano tanto per le lunghe da rendere vana l’attesa. Tutti loro sono contrari alla pratica del suicidio assistito e sono intervenuti davanti alla Corte per sostenere le ragioni di una sentenza di inammissibilità o infondatezza costituzionale davanti alla possibile estensione dell’accesso al suicidio assistito, che comporterebbe una diminuzione del loro diritto alla vita e del loro diritto alla dignità personale.
I quattro pazienti sono intervenuti davanti alla Corte il 26 marzo, perché per la quarta volta la Corte costituzionale dovrebbe decidere sulle scelte di fine vita e aiuto al suicidio, a seguito delle azioni di disobbedienza civile compiute da Marco Cappato. La storia è ormai nota, anche per la grande risonanza mediatica che ha avuto.
I casi oggetto della valutazione dei giudici questa volta sono quelli di Elena, paziente oncologica, e Romano, affetto da Parkinson, entrambi accompagnati in Svizzera nel 2022 da Marco Cappato. Entrambi gli avevano chiesto aiuto per andare in Svizzera e accedere al suicidio medicalmente assistito, ma poiché non erano dipendenti da nessun sostegno vitale, non rientravano nei criteri fissati dalla Corte con la sentenza del 2019 per giustificare il ricorso al suicidio assistito.
E Cappato, ad agosto e a novembre 2022, al ritorno dalla Svizzera si era auto-denunciato, subito dopo il suo rientro in Italia. Quella che lui chiama disobbedienza civile in realtà è un’aperta trasgressione delle norme imposte dalla Corte. Una provocazione esplicita per ottenere dal Parlamento l’accelerazione della legge sull’eutanasia o comunque la si voglia chiamare.
È importante che si colga come la sua disobbedienza civile ha una potenza trasgressiva dall’intenso sapore di morte per la sua stessa irrevocabilità e sorprende come la Corte tardi tanto ad esprimersi. Tutti attendiamo fiduciosi, nonostante i dubbi si vadano facendo sempre più insistenti.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.