Continua – e probabilmente entrerà sempre più nel vivo nel corso dei prossimi giorni – lo scontro/dibattito sul suicidio assistito, sul concetto di ‘fine vita’ dei pazienti terminali e (in minima parte) anche sull’eutanasia: termini che talvolta vengono confusi tra loro ma – e ci arriveremo dopo – sono profondamente differenti e sono stati oggetto nei giorni scorsi di una nuova sentenza della Corte Costituzionale. Per ora non ci sarebbe nulla di ‘ufficiale’, ma da un’indiscrezione lanciata da Repubblica sembra che la Consulta – dopo più di 5 anni di attesa dalla prima sentenza del 2019, ignorata dal Governo – abbia messo una virgola (forse un punto) sul suicidio assistito e sul fine vita; mentre l’eutanasia per ora rimane in secondo piano.



Prima di arrivare alle (per ora presunte, è meglio specificarlo) novità anticipate dal quotidiano di Molinari vale la pena – innanzitutto – soffermarci sulle differenze tra i tre termini elencati prima: nel caso dell’eutanasia è un medico a provocare direttamente la morte del paziente, iniettando per sua mano il farmaco letale; mentre con suicidio assistito (e più genericamente con il concetto di ‘fine vita medicalmente assistita’) si intende la richiesta ad un medico da parte di un paziente di ottenere informazioni su come auto-procurarsi la morte, di fatto iniettandosi la fialetta letale in completa autonomia.



L’eutanasia – e questo rimane per ora assodato – in Italia è considerata illegale e punita ai sensi dell’articolo 579 per la fattispecie di ‘omicidio del consenziente‘; mentre sul suicidio assistito (e qui torniamo alla giornata di oggi) c’è una piccola apertura firmata nel 2019 dalla Corte Costituzionale, che impose dei vincoli da rispettare per il fine vita, chiedendo al Governo di legiferare per definire procedute chiare ed eticamente umane: richieste – anticipavamo – completamente ignorate.

Cos’ha detto oggi la Corte Costituzionale sul suicidio assistito

Venendo ad oggi, dopo cinque anni d’attesa sembra che la Corte Costituzionale abbia ripreso nelle sue mani la palla del suicidio assistito andando – così anticipa Repubblica – ad allargare e definire più nel dettaglio quei quattro vincoli imposti nel 2019; ma è importate ribadire che solamente nei prossimi giorni (quando verrà eventualmente pubblicata la sentenza) potremo conoscere la reale entità di questa pronuncia. Secondo le indiscrezioni – comunque – i giudici avrebbero ampliato il terzo quei quattro punti, in cui si riconosceva il diritto per il paziente terminale di chiedere il sudicio assistito quando “tenuto in via a mezzo di trattamenti di sostegno vitale“; fermo restando – ma questo è il quarto punto – che deve essere in grado “di prendere decisioni libere e consapevoli”.



Nello specifico: il concetto di “trattamenti di sostegno vitale” non era del tutto chiaro e apriva – ipoteticamente – anche all’alternativa in cui uno sportivo costretto a letto per via di un infortunio (o qualsiasi altro caso in cui il paziente non sia terminale), se collegato ad una macchina avrebbe potuto chiedere il suicidio assistito. Oggi la Consulta avrebbe definito che spetterà ad un giudice – a fronte di una legittima richiesta di fine vita assistita – definire il margine di sofferenza del paziente tenuto in vita da “trattamenti di sostegno vitale”.