Giornata pesantissima per Luca Zaia, il governatore leghista del Veneto che aveva deciso di accelerare sul suicidio assistito ed è stato costretto a frenare dalla sua stessa maggioranza, peraltro spaccata. Il Consiglio regionale ha infatti bocciato la legge sul suicidio assistito fortemente voluta dal governatore: un testo di iniziativa popolare elaborato dall’Associazione Luca Coscioni e sostenuto da 9.072 firme (non moltissime ma sufficienti per chiederne la calendarizzazione) analogo a quello presentato in altre Regioni, ma che il Doge veneto ha deciso di sponsorizzare prima degli altri contro la volontà del suo stesso partito. La legge prevedeva che le aziende sanitarie dovessero rispondere in tempi brevi (20 giorni) alla richiesta di valutare l’esistenza dei requisiti fissati dalla Corte costituzionale per ottenere il suicidio medicalmente assistito. Nel caso in cui l’istanza fosse stata accolta, la sanità pubblica avrebbe fornito al paziente il farmaco letale e la strumentazione per assumerlo.
Il dibattito in Consiglio regionale si è trascinato l’intera giornata: la seduta si è aperta alle 10:30 e si è andati avanti fino alle 18:30 circa, quando è arrivato il momento di votare. Per l’approvazione del provvedimento servivano 26 voti: ne sono arrivati 25 favorevoli all’articolo 1 e altrettanti per l’articolo 2. A quel punto è stato inevitabile rinviare in Commissione sanità il testo, dal momento che senza i primi due articoli la legge non stava più in piedi. Ora probabilmente il fascicolo finirà in un cassetto fino alla prossima legislatura.
Per tutto il giorno nei corridoi di Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale veneto, è andata in scena la caccia al voto, con i leghisti della lista Zaia che tentavano di convincere i colleghi “ufficiali” di Salvini, e viceversa. Netto invece il no di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Gli stessi mal di pancia hanno lacerato l’opposizione: il Pd era formalmente schierato per il sì, ma anche il centrosinistra ha avuto i suoi franchi tiratori. Clamoroso il passo di lato di Anna Maria Bigon, candidata governatrice del Pd alle ultime regionali, che si è astenuta secondo coscienza, contro le direttive del partito. Ma non è stata la sola. I leghisti invece si sono divisi a metà tra fedeli a Zaia e a Salvini.
Per il governatore sarebbe stata l’apertura di una pagina nuova della sua avventura politica. Manca un anno e mezzo alla scadenza del mandato in Regione. La probabilità di farne un altro (per lui sarebbe il quarto) si allontana sempre di più. Ci sarebbe l’opzione di una candidatura in Europa, ma significherebbe dire addio al Veneto senza la garanzia di un incarico di peso a Strasburgo visto che la Lega non entrerà nella stanza dei bottoni. In questa fase così delicata, Zaia ha creduto di sfidare il leader nazionale sul terreno dei diritti civili, oltretutto forzando la mano sull’interpretazione di un testo che comunque si sarebbe prestato a ricorsi. È stata una mossa che gli ha fatto guadagnare consensi nel campo avversario ma gliene ha fatti perdere in casa sua. A conti fatti, un passo falso.
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