DOPO IL SUICIDIO DELLA 19ENNE ALLO IULM: IL MONITO DI D’AVENIA

«Ho fallito in tutto, vi chiedo scusa»: il suicidio pochi giorni fa allo Iulm di Milano di una studentessa del primo anno (a soli 19 anni) ha sconvolto tutti, non solo l’università milanese. Le scuse ai genitori, l’insano gesto nel bagno dello Iulm e i mille interrogativi che lascia un caso di suicidio così drammatico restano di stretta attualità, tanto che nella sua rubrica sul Corriere della Sera “L’Ultimo Banco” Alessandro D’Avenia prova ad approfondire in maniera commossa il perché a neanche 20 anni si può arrivare ad una tragedia del genere.



«Vorrei andare oltre la critica alla cultura della performance per capire piuttosto come curare in tempo le ferite che uccidono, sadicamente o spiritualmente, i futuri vent’anni»: così scrive il professore e romanziere, tra gli occhi più attenti nel panorama quotidiano sul tema dell’educazione e della compagnia ai giovani. D’Avenia racconta della sua proficua collaborazione con il regista Gabriele Vacis per la compagnia di studenti liceali (la PEM, ndr) sulla realizzazione di diversi spettacoli culturali. In quello più recente, “Antigone e i suoi fratelli” viene affrontato da molto vicino il dramma e l’urgenza del vivere: «Vacis ha chiesto ai ragazzi di rispondere alla domanda chiave dell’opera: per chi o cosa, come Antigone, vale la pena dare la vita?». Non mancano le cause e le motivazioni per la morte, ma serve capire piuttosto per cosa valga davvero la pena vivere, onde evitare drammatici casi come quelli della 19enne suicida allo Iulm (purtroppo negli ultimi decenni all’ordine del giorno).



D’AVENIA: “GIOVANI NON CEDANO ALLA SEDUZIONE DELLA DISTRUZIONE”

Il D’Avenia insegnante ripete ogni anno ai propri studenti dell’ultimo anno di superiori un “mantra” che impone una riflessione, specie alla luce della domanda centrale per l’esistenza umana (“per che cosa valga la pena vivere?”): «Per avere la maturità (non l’esame, formalità superata dal 99,5% dei maturandi) dovete riuscire a rispondere a una sola domanda: perché sei venuto al mondo?». È lo stesso scrittore a provare a rispondere dopo aver vissuto come noi tutti dall’esterno al dramma del suicidio allo Iulm: «sono venuto al mondo per aiutare altri a trovare il proprio destino, attraverso la bellezza. Scrivere, insegnare, raccontare a teatro… sono modi di realizzare, nello spaziotempo in cui vivo, ciò per cui sono qui. A molti ragazzi oggi manca “il perché”, che non li aiutiamo a trovare e a far fiorire (in famiglia e a scuola) soffocandolo con decine di “come” e di “che cosa” fare».



D’Avenia spiega che non basta a nessuno, men che meno ai giovani, “sopravvivere”: serve vivere, il problema è che nei periodi di pace «i suicidi dei giovani aumentano, smascherando il vuoto di una cultura che, non offrendo ragioni per vivere, è poi costretta a darsene una per morire, come la guerra. È una pulsione che Freud chiama “di morte”, opposta all’unico fine perseguito dalla specie: la sopravvivenza». Il rischio del giorno di oggi è che vi sono “troppe scelte”, ma nessuna che davvero possa valere la pena vivere appieno: «la seduzione della morte e le ferite generazionali: stanchezza e vergogna, quelle che portano al suicidio una ventenne», si domanda Alessandro D’Avenia sul “Corriere”. La risposta “arriva”, per così dire, da Antigone: «Con amare qui si intende l’appartenere a qualcuno a tal punto da poter anche dare la vita per lui, come quando diciamo ti amo da morire (cioè voglio impegnarmi perché tu esista di più, costi quel che costi). Il sapere “perché” è venuta al mondo rende quindi Antigone capace di opporsi al potere e dare la vita per i fratelli». Il vero compito educativo, conclude lo scrittore siciliano “trapiantato” a Milano, anche davanti ai casi come il suicidio drammatico di una 19enne, è far sentire a questi ragazzi questa «appartenenza (relazioni autentiche e stabili) che consente poi loro di “venire al mondo” con coraggio, da infanti a fanti, che vanno “alla vita” e non “alla guerra”».