Quando muore un ragazzo, si prega, e si tace. Quando muore un ragazzo, ventenne, che si toglie la vita, si prega e si tace due volte. È perché l’abisso del dolore dell’uomo ci si spalanca davanti, ed è domanda, ferita, e ogni giudizio o risposta istintiva è faciloneria irrispettosa.
È peggio se si sfrutta la debolezza per sventolare bandiere ideologiche, per sfruttare un caso a fini politici. È quanto è successo a Seid Visin, un ragazzo di origine etiope, italiano, italianissimo, accolto bambino da una famiglia amorevole e cresciuto con tutte le cure e l’attenzione che si deve a un figlio. Seid era diventato un campioncino del calcio, questo solo sappiamo. Sappiamo che ha scelto di andarsene, e che un suo lungo sfogo aveva espresso un sentimento di esclusione e di disprezzo verso il colore della sua pelle.
La sua morte si deve al razzismo, e il razzismo, dice il pensiero dei soli adibiti al pensiero, che stava sempre a sinistra, chissà perché, sta a destra. La destra è rappresentata dai due leader Salvini e Meloni, che dunque sono responsabili della sua morte, sono degli assassini.
È un’equazione orribile, insensata, dettata solo da furore e livore, che non ha alcun fondamento reale. Ma potremmo anche supporre che certe prese di posizione sui migranti, sugli “stranieri” nel nostro paese, abbiano fiaccato un animo sensibile e fragile. Tuttavia, di fronte al dramma di un ragazzo, solo i genitori hanno il diritto di parola. E i genitori, splendida famiglia accorata, chiedono indignati di evitare le speculazioni, non parlano del disagio di un figlio, perché sanno che il silenzio e la preghiera dicono tutto quel che è necessario.
Parlano a voce alta attraverso i giornali perché non vogliono che il loro dolore sia usato, affermano che il razzismo non c’entra nulla, che le parole di Seid risalgono a tre anni fa, che in chiesa al suo funerale c’era tutta la cittadina di Nocera Inferiore che era casa loro, casa di Seid. Ma noi abbiamo vati che non perdono occasione per sprecare il fiato, e ne hanno facoltà in pompa magna, con prime pagine di peso. Roberto Saviano ha lanciato la sua fatwa, invita a esami di coscienza cui lui è refrattario, ché la coscienza si allena pensando anzitutto alla propria, e cercando la misericordia, il perdono.
Lui non sa cosa siano, sa tutto evidentemente di Seid e della sua storia, accusa e ingiuria, speculando su un clima di odio che proprio dalle sue frasi velenose viene aizzato. Si tratta di difendere Salvini e Meloni? No, perché non c’entrano nulla le posizioni politiche con il sangue versato di Seid. Se avesse avuto il colore bianco della pelle, avremmo derubricato la sua fine tra i tanti trascurati casi di cronaca, avremmo fatto parlare gli psicologi dei danni sui giovani del prolungato lockdown. Si tratta di negare che il razzismo covi nel cuore dell’uomo? Neppure. È una maledizione, cui assistiamo tra l’altro troppe volte proprio sui campi di calcio. Toccherebbe valutare cosa Seid in quell’ambiente abbia vissuto. Ma il papà e la mamma dicono che il razzismo non centra, con il suo suicidio, e non vedo perché dovremmo scavalcare la loro testimonianza e inventare un film che non corrisponde al vero. A meno che le storie inventate non servano, quelle sì, a battaglie politiche messe in campo con foga quanto più appaiono deboli e confuse le idee. L’ideologia sostituisce le idee quando le idee impallidiscono. Farebbe bene a comprenderlo, e tirarsi fuori, il segretario del Pd, invece di seguire i tribuni che si fanno interpreti del popolo.
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