Vertice antiterrorismo tra Francia, Germania, Austria e Olanda con la presenza dei due leader Ue, Ursula von der Leyen e Charles Michel. Manca all’appello l’Italia (ma anche Grecia e Spagna): la motivazione ufficiale è che sono paesi che non sono stati colpiti da recenti azioni terroristiche. Un vertice significativo, in cui viene auspicata una maggiore collaborazione tra polizia e intelligence e addirittura una revisione degli accordi di Schengen. Ma il mancato invito al nostro paese a prendervi parte sembra più uno schiaffo politico, visto che nella lotta al terrorismo di matrice jihadista l’Italia è uno snodo importantissimo, non foss’altro per il fatto che siamo sempre stati usati come piattaforma di passaggio. Forse è stato proprio l’ultimo episodio – il killer tunisino autore della strage di Nizza, tranquillamente sbarcato a Lampedusa e transitato liberamente dal nostro paese fino in Francia – a far scattare la nostra esclusione dal vertice, quasi a certificare la nostra incapacità a gestire il problema. Non è d’accordo Stefano Piazza, esperto di terrorismo internazionale, da noi intervistato: “Il problema vero, visto che non è la prima volta che veniamo esclusi dai tavoli che contano, è che l’Italia da anni manca di una autentica politica estera. Non basta farsi vivi in occasione di celebrazioni o di vittorie politiche, è necessario un lavoro svolto quotidianamente. Siamo scomparsi dal Mediterraneo, dalla Libia, da molto tempo non abbiamo personalità che in politica estera brillino particolarmente”.



Come giudica il fatto che l’Italia non sia stata invitata a questo vertice, in un momento in cui la collaborazione antiterrorismo dovrebbe coinvolgere tutta l’Europa? 

È vero che la collaborazione dovrebbe essere estesa, però bisogna anche registrare un fatto: questo mancato invito, a mio avviso, è legato alla mancanza di una politica estera italiana.



Ci spieghi meglio.

La politica estera non si fa solo porgendo gli auguri quando viene eletto un personaggio politico, ma si fa giorno per giorno, è fatta di rapporti che si mantengono quotidianamente attraverso un dialogo e un confronto continuo. Cose pessime come l’esclusione dal vertice succedono perché un grande paese come l’Italia, che pure vanta un apparato di intelligence capace di evitare determinate situazioni, non può contare su strutture capaci di sviluppare una politica estera. L’Italia è scomparsa dal Mediterraneo, dalla Libia, siamo un paese con una grande tradizione, ma da molti anni non abbiamo una politica estera degna di questo nome.



Non pensa che sia una sorta di “punizione” per aver permesso al terrorista tunisino autore della strage di Nizza di sbarcare in Italia e transitare per il nostro paese?

Non credo a questo tipo di narrazione, non penso che un paese come la Francia si perda davanti a un singolo episodio. Questo terrorista poteva arrivare da qualunque posto, poteva essere nato in Francia e colpire in Italia.

È possibile che ora siamo considerati un paese poco sicuro e quindi non affidabile per sviluppare certe collaborazioni tra gli apparati di intelligence?

No. Credo piuttosto che questa vicenda dimostri ancora una volta la marginalità del nostro paese. Non è la prima volta che veniamo esclusi dai tavoli che contano. La politica estera è un’arte che si pratica ogni giorno, non quando serve, e ci vogliono personalità di spicco, che mi pare manchino all’Italia da molto tempo.

Nel vertice si sono toccati temi importanti come l’immigrazione clandestina e il trattato di Schengen. Ritiene che sia la strada giusta?

Il problema dell’immigrazione clandestina è incontrovertibile, occorre regolare i flussi, ma ricordiamoci che in Austria proprio in questi giorni è stata portata a termine un’operazione antiterrorismo dove sono stati sequestrati 25 milioni di euro in proprietà e negozi ad associazioni che fanno riferimento alla Fratellanza musulmana.

Non è quindi un problema di controllo delle frontiere?

Non è solo quello. Dobbiamo togliere a questi gruppi la possibilità di agire, bloccando i finanziamenti, mettendo fuori legge la Fratellanza musulmana e Hamas europea. Ci vuole il coraggio di prendere decisioni importanti, i semi del male sono stati impiantati in Europa da decenni, non è chiudendo le frontiere che si elimina il terrorismo. L’attentatore di Vienna era nato in un sobborgo della capitale austriaca.

Che idea possiamo farci del prossimo futuro?

Il terrorismo non è mai scomparso, neanche con la fine dello Stato islamico, che anzi si sta ricostruendo in Siria e in Iraq. In Europa è un problema conclamato, esistono piccole cellule indipendenti e organizzazioni, ci sono i foreign fighters di ritorno. Il problema continuerà a esistere, perché questi semi del male sono fioriti negli ultimi trent’anni. L’idea di uno Stato islamico e l’ideologia che ne consegue hanno piantato i semi. Il terrorista di Vienna aveva 16 anni quando cercò di andare a combattere in Afghanistan e 17 quando cercò di andare in Siria, e oggi sono in mezzo a noi. L’Europa è piena di questi soldati di Allah.