e siete in grado di mascherare l’indirizzo IP del vostro computer, tablet o smartTv da IP americano, allora quest’anno potrete, per la prima volta, godervi il Sundance Film Festival da casa senza bisogno di raggiungere Park City o Ogden in mezzo alla neve sulle Montagne rocciose dello Utah. Il più importante festival di cinema indipendente del mondo, infatti, nonostante la pandemia si svolge come sempre tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio anche online ma solo per spettatori virtuali che risultino geolocalizzati negli Usa (con poche eccezioni). Però per poter vedere i film del programma si devono acquistare o biglietti singoli per ogni spettacolo a 15 dollari (circa 12 euro) o un passi virtuale da 350 dollari per tutto il festival che, grazie al cambio favorevole, corrispondono a circa 290 euro. Si tratta comunque di una bella sommetta se paragonata ai circa 10 euro che si pagano per un accredito valido per l’intero programma di uno dei tantissimi festival online italiani.



In America si possono acquistare anche il Daily pass, giornaliero, o l’Award pass, per vedere, alla fine, solo i film vincitori. In realtà se ci si vuole togliere lo sfizio di partecipare online al festival si può acquistare per 25 euro (circa 20 euro) un Explorer pass che consente di guardare dall’Europa una decina di opere: quelle della la sezione dedicata alle Serie; un documentario su una giornata (il 25 luglio) nel mondo nel 2020; le sperimentazioni della sezione New Frontier dove si utilizzano le nuove tecnologie nella narrazione audiovisiva.



Il Sundance per la prima volta sperimenta anche una rete di schermi satellite che nelle sale d’essai (che gli americani chiamano arthouse) di 28 città Usa permettono agli appassionati di cinema di condividere assieme l’esperienza del festival in contemporanea con il suo svolgimento attraverso incontri, presentazioni, proiezioni, eventi. Si tratta di un’iniziativa rivoluzionaria che dimostra come il Sundance sia sempre all’avanguardia nel settore dei festival non solo come contenuti ma anche come organizzazione.

Considerato che il Sundance normalmente è un festival che scopre sempre nuovi talenti e che il programma di quest’anno (circa 130 tra lungometraggi, cortometraggi e documentari) è comunque all’altezza dei precedenti, sarà comunque interessante esaminarlo per scoprire quali sono i film più interessanti che probabilmente si potranno vedere nelle sale, quando riapriranno, o comunque sulle piattaforme di streaming o sulle tv a pagamento.



Incuriosiscono gli esordi alla regia di due attrici famose: l’americana Robin Wright e la britannica Rebecca Hall. A quanto pare a Robin Wright non è bastato diventare Presidente degli Stati Uniti in House of cards e ha voluto esordire alla regia con Land, film in cui è anche la protagonista. Interpreta una donna, Edee, che, dopo un grave trauma, si ritira in una foresta sulle Montagne Rocciose con pochi rifornimenti e lascia la sua vecchia vita alle spalle per sempre. La bellezza del suo nuovo ambiente è innegabile, ma deve lottare per adattarsi e prepararsi per l’inverno che l’aspetta. Quando è sull’orlo della morte, un cacciatore locale e la sua famiglia la salvano miracolosamente, ma lei sola deve comunque trovare un modo per dare significato alla propria vita.

Rebecca Hall ha invece deciso di esordire alla regia con la trasposizione cinematografica di un romanzo del 1929 di Nella Larsen, Passing (Due donne nella recentissima traduzione italiana edita da Frassinelli). Il romanzo e il film sono ambientati nella vivacissima New York degli anni Venti del secolo scorso e in particolare ad Harlem, che viveva una stagione creativa senza precedenti. Le protagoniste sono due amiche di infanzia (interpretate da Tessa Thompson e Ruth Negga) che si incontrano dopo tanti anni. Irene è sposata con un medico (André Holland) e vive da tranquilla borghese ad Harlem. Clare ha vissuto per anni in Europa con un marito bianco e razzista (Alexander Skarsgård) al quale ha nascosto le sue origini bi-razziali passando per bianca. Il romanzo è lo spaccato di una società sessista e razzista che l’autrice ben conosceva e nella quale il passing, cioè il farsi passare per bianchi, se l’apparenza fisica lo consentiva, era l’unico modo, specialmente se donne, per sfuggire alla segregazione e alla discriminazione che colpivano tutti coloro che avevano anche una minima parte di sangue non bianco. Se la neo-regista saprà rendere in immagini la complessa rappresentazione della relazione tra le due donne, fatta di complicità, rivalità e gelosie, e della società americana di quegli anni, che hanno reso famoso il romanzo, Passing potrebbe essere uno dei film più notevoli del Sundance.

Judas and the black Messiah (Giuda e il Messia nero) è un altro titolo da tenere d’occhio. Il regista Shaka King racconta nel suo film la storia di Fred Hampton, famoso leader rivoluzionario delle Pantere Nere nel 1969. Hampton predicava il “tutto il potere al popolo” e per questo era considerato una minaccia dall’FBI che riuscì a infiltrare un informatore (Giuda) all’interno del movimento.

Il regista alto-atesino Ronny Troker è l’unico italiano in concorso. Dopo la sua opera prima, Eremites, presentata alla Mostra di Venezia nel 2016, porta al Sundance Human Factors (Fattori umani), la storia di una coppia che per sfuggire alle crescenti tensioni nell’agenzia pubblicitaria di cui sono comproprietari, porta, fuori stagione, i propri figli nella loro casa delle vacanze al mare. Dovrebbe essere un rifugio idilliaco, ma quando i ladri fanno a pezzi la casa, senza essere visti da nessuno, la famiglia entra in crisi. Human Factors ci ricorda che anche i membri più stretti della famiglia possono essere solo intimi estranei.

Molto attuale è In the earth, che racconta la storia di un medico, Martin Lowery, il quale, mentre un virus mortale devasta il mondo, si imbarca in una missione per raggiungere un centro di ricerca nel profondo della foresta arborea. L’arduo viaggio diventa un’avventura forse senza fine o salvezza. Lo scrittore e regista Ben Wheatley offre un’esperienza visiva a volte psichedelica, ricca e disorientante, usa una colonna sonora sintetica, sobria e snervante, allusioni mistiche e la natura stessa per instillare una sensazione di disagio e pericolo, realizzando un film difficile da classificare,

In Captains of Zaatari (Capitani dello Zaatari), Fawzi e Mahmoud sono due adolescenti ossessionati dal calcio. Ma negli ultimi anni i due amici sono rimasti bloccati a Zaatari, il più grande campo per rifugiati siriani del mondo, situato in Giordania. Con uno status giuridico incerto e un’istruzione interrotta, le loro prospettive sono limitate. Sul campo di calcio locale, tuttavia, possono immaginare un futuro migliore come atleti professionisti. Quando gli scout di un’accademia sportiva del Qatar di fama mondiale visitano Zaatari, Fawzi e Mahmoud credono che potrebbero essere in grado di realizzare i loro sogni, se ne avessero l’opportunità. Al suo debutto alla regia di un lungometraggio, Ali El Arabi crea un ritratto intimo dell’amicizia e della speranza duratura di fronte alle difficoltà più impegnative.

La regista brasiliana Iuli Gerbase ha realizzato con la sua opera prima, The Pink Cloud (La nuvola rosa), un lungometraggio d’esordio ambiziosamente elegante ambientato in un mondo evocativo e non troppo lontano da quello attuale. I protagonisti del suo film, Giovana e Yago, si incontrano a una festa e poi a causa di una nuvola mortale che invade la loro città devono fuggire assieme. Mano a mano che la nuvola mortale invade il mondo, i due giovani sono costretti a condividere spazi e a bruciare le tappe di una relazione. The Pink Cloud scava profondamente nel ventre della solitudine collettiva per offrirci una via d’uscita.

A Glitch in the Matrix (Un’anomalia nella matrice) è un affascinante e visivamente stimolante documentario di Rodney Ascher che esamina la teoria della simulazione: l’idea che il mondo in cui viviamo potrebbe non essere del tutto reale, l’universo sarebbe una simulazione artificiale. A Glitch in the Matrix traccia la genesi dell’idea nel corso degli anni, dalle ipotesi filosofiche degli antichi greci alle esplorazioni moderne di Philip K.Dick, dei Wachowski e di importanti studiosi, di teorici dei giochi e di semplici appassionati. Ascher mette abilmente in parallelo i discorsi di persone che credono che stiamo vivendo in un computer con la natura puramente digitale del film stesso: tutte le interviste sono state condotte tramite Skype, tutte le ricostruzione sono state animate digitalmente e i documenti filmati sono in gran parte tratti da cyber-thriller e videogiochi degli anni ’90. A Glitch in the Matrix, insomma, esplora la possibilità scientifica della teoria della simulazione, ma la interpreta anche come un sintomo delle crisi esistenziali del ventunesimo secolo.

La documentarista Jamila Wignot con Ailey presenta al Sundance un film che è un tributo al famoso ballerino e coreografo afro-americano Alvin Ailey che ha fondato una delle compagnie di danza più rinomate al mondo, l’Alvin Ailey American Dance Theatre. Il ritratto che ne fa la Wignot è complesso, cattura il talento e la fiducia di un uomo sotto i riflettori mentre si ritaglia spazio per descriverne la vulnerabilità. La regista riesce pienamente a far capire l’impatto di Ailey e della sua coreografia pioneristica e visionaria sulla coreografia contemporanea.

Straordinario il documentario Sabaya del regista curdo Hogur Hirori. Nell’agosto 2014, il Califfato islamico tra Iraq e Siria (Daesh) ha attaccato la patria ancestrale degli Yazidi, una delle minoranze etniche e religiose più antiche dell’Iraq. Tra le molte atrocità commesse da Daesh c’è stato il rapimento di migliaia di donne e ragazze, che sono state condotte come schiave del sesso (sabaya) tra i jihadisti. Cinque anni dopo l’attacco, il regista Hogir Hirori ci accompagna in un viaggio illuminante che segue un gruppo di volontari dello Yazidi Home Center nella loro missione per salvare le donne e i bambini tenuti da Daesh nel campo di Al-Hol.

La scena di apertura del sorprendente film Taming the garden (Domare il giardino), della regista georgiana Salomé Jashi, mostra un albero alto quanto un edificio di 15 piani che galleggia su una chiatta attraverso il vasto Mar Nero. La sua destinazione si trova all’interno di un giardino a innumerevoli miglia di distanza, di proprietà privata di un uomo ricco e anonimo il cui hobby consiste nella rimozione e nel successivo reimpianto di alberi stranieri nel proprio Eden artificiale. Con uno stile cinematografico originale, Taming the Garden documenta il potere di un singolo uomo sui giardini naturali della Terra: come maestosi manufatti viventi dell’identità di un paese possano essere sradicati così facilmente da individui senza alcun legame con la natura di cui semplicemente si appropriano.

La sezione Series, che si può vedere dall’Italia, comprende tre serie brevi e una miniserie. Nella serie francese in 10 episodi da 7′-8′ a puntata Would You Rather (Preferitesti?) i sedicenni Shaï, Djeneba, Aladi e Ismaël trascorrono tutto il loro tempo insieme in un quartiere popolare parigino, scherzando, flirtando e giocando al loro gioco preferito: “Preferiresti?” Quando Shaï e Djeneba iniziano a frequentare scuole diverse, l’equilibrio del gruppo cambia e le discussioni su sesso, amore, famiglia e religione assumono un nuovo significato. Conversazioni prive di tabù, ma ricche di curiosità, catturano autenticamente le complessità dell’adolescenza.

4 Feet High (4 piedi alti) è una serie argentina di 6 episodi da circa 12 minuti l’uno. È un mix di live-action e animazione che racconta la storia di Juana, una coraggiosa diciassettenne su una sedia a rotelle, che vuole esplorare la sua sessualità ma si vergogna del suo corpo. Cercando di trovare il suo posto in una nuova scuola, affronta il fallimento, l’amicizia, la paura e la politica finché non sviluppa il suo senso di orgoglio personale. Dopo aver visto i sei episodi si possono vedere nella sezione New Frontier quattro ulteriori episodi con immagini a 360 gradi.

These days (Questi giorni) è una serie americana sulla vita durante la clausura di cui viene presentato l’episodio-pilota. La protagonista è Mae, una single trentenne, ballerina professionista, che si ritrova catapultata all’improvviso in un mondo dove trova una parvenza di socialità nei social media e sulle piattaforme online. I giorni si sono trasformati in settimane e poi in mesi, ma nulla è migliorato, specialmente per una single come Mae, nella vita, nell’amore e nell’amicizia, durante l’imbarazzante anno 2020.

Seeds of deceit (Semi di inganno) è una miniserie olandese di 135′ in 3 puntate. Racconta la storia vera di Jan Karbaat, un medico specializzato nell’inseminazione artificiale famosissimo nei Paesi Bassi. Dopo la sua morte, nel 2017, si sono scoperte diverse irregolarità nella gestione dei suoi centri per la fertilità, ma soprattutto che ha usato il suo seme per fecondare centinaia di sue pazienti generando altrettanti figli inconsapevoli di tale paternità.

Life in a day 2020 (La vita in un giorno 2020) è l’unico documentario che di può vedere dall’Europa. Dieci anni dopo la prima al Sundance Film Festival 2011 di Life in a Day, il pluripremiato regista Kevin Macdonald torna al Sundance per presentare la storia di un altro giorno sulla Terra: il 25 luglio 2020. Seguendo il concetto dell’originale, Life in a Day 2020 è un documentario in crowdsourcing estremamente ambizioso, compilato da 15.000 ore di filmati inviati da 192 Paesi e realizzato in collaborazione con YouTube e RSA Films di Ridley Scott. Macdonald combina magistralmente istantanee apparentemente non correlate in bellissime storie: storie di amore, perdita, lotta, genitorialità e tutto il resto. È un film “d’azione” molto speciale, un promemoria del fatto che c’è vera bellezza nella nostra vita quotidiana, anche se potrebbe non sembrare sempre così.

Concludiamo la carrellata sui più interessanti film in programma al Sundance Film Festival 2021 con l’augurio che nel 2022 lo streaming di tutti i film del festival sia possibile anche in Europa e che anche l’esperimento degli schermi-satellite sia esteso al Vecchio Continente.