Suor Luisa oggi avrebbe compiuto 65 anni ma non ha potuto festeggiare con i bambini che quotidianamente curava e aiutava perché sabato mattina è stata uccisa ad Haiti, dove abitava da vent’anni per aiutare gli altri. La missionaria, originaria della Brianza lecchese, era “l’angelo dei bambini”. Qui si era trasferita da tempo per aiutare i piccoli delle famiglie più disagiate, trasformati invece in schiavi in città. La donna è morta a pochi passi dal centro dedicato a Charles de Foucauld a Port-au-Prince, dove era appena stata per incontrare i bambini e mettere a posto i locali. Un’auto con a bordo tre banditi armati, l’ha uccisa con quattro colpi di pistola e abbandonata nella vettura senza rubarle nulla.
“Sembra non sia stata una rapina e nemmeno un tentativo di rapimento, ma uno dei tanti casi di violenza assurda, che la proliferazione delle armi permette. Luisa non aveva nemici”, spiega padre Elder Maurice Hyppolite, sacerdote salesiano, al Corriere. “Era cosciente che qualcosa sarebbe potuto capitare, anche nell’ultima lettera lo diceva che la situazione era molto difficile. Però ci teneva a restare, a dare testimonianza”, racconta invece la sorella Maria Adele, che invece vive in Italia.
La lettera di Suor Luisa
A Pasqua, Suor Luisa aveva inviato una lettera all’associazione Il Germoglio, nata in paese proprio a sostegno della sua missione. Nella missiva, scriveva: “Ma perché agiamo così? Perché questa violenza che sentiamo a volte pure in noi? Mi direte che sono un po’ folle. Perché restare qui ed esporsi al rischio? Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato. Potere contare su qualcuno è essenziale per vivere”. Suor Luisa era essenziale nel centro Kay Chal, realizzato grazie ai fondi raccolti dalla Caritas italiana. Dopo il terremoto del 2010, si era occupata della ricostruzione, ma era arrivata ad Haiti ben prima, nel 2002, aprendo una scuola elementare e una cooperativa di ricamo. Era anche docente all’università, essendo laureata in Storia e filosofia.
“Semplicità, profondità, servizio. Le parole che la descrivono. Non era incosciente, conosceva i rischi, ma si era messa al servizio di chi ha bisogno” racconta Maddalena Boschetti, una delle sue più care amiche che spesso andava a trovarla ad Haiti. Marta Aspesi, che ha vissuto quattro anni sull’isola con la Caritas ambrosiana, spiega al Corriere: “Dormiva tre ore a notte. La sua casa era il punto di riferimento del quartiere, era la mamma dei bambini schiavi che aiutava a studiare. Kay Chal, che accoglie fino a 400 ragazzini, è gestita da persone del luogo, ma lei era il lievito della pasta”.