Nella tragica mattina di sabato 25 giugno è stata uccisa Suor Luisa dell’Orto, cuore pulsante della comunità “Kay Chal“, ad Haiti. La religiosa aveva 65 anni, originaria di un piccolo paesino in provincia di Lecco, Lomagna, apparteneva alla congregazione delle Piccole sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld. Dal 2002 si era trasferita nella capitale di Haiti, Port-au-Prince, dove operava nella comunità Kay Chal, “Casa Carlo”, in un quartiere povero dove la criminalità è all’ordine del giorno. Con impegno e devozione, servendola per 20 anni, era riuscita a diventare asse portante della comunità, creata grazie ai fondi raccolti nel 2010 dalla Caritas italiana, a seguito della Conferenza episcopale italiana.



Avrebbe compiuto domenica i 65 anni, le dinamica dell’incidente non sono ancora chiare, inizialmente sembrava essere causato da un tentativo di rapina, adesso si parla invece di un tentativo di rapimento, nulla è certo. La suora di trovava in auto quando gli sono stati sparati tre colpi da arma da fuoco, gravemente ferita è stata portata all’ospedale Bernard Mevs, ma il tentativo di salvataggio è stato inutile, era già morta. A rivelare i dettagli è stata la sorella, Maria Adele Dell’Orto, con dei messaggi alla comunità di Lomagna, scrive: “Con profonda tristezza vi comunico che hanno sparato tre colpi alla macchina di mia sorella Luisa probabilmente per un tentativo di rapimento ed è morta sul colpo”.



Suor Luisa dell’Orto al servizio degli altri

Angelo dei bambini di strada, Suor Luisa dell’Orto, ha servito egregiamente la comunità anche nei momenti di difficoltà. Primo fra tutti il 2010, anno del terribile terremoto che, come tutto il resto, ha devastato e portato alla totale distruzione della comunità, da lì ricostruita mattone dopo mattone. Ma non solo, anche nel 2020, quando a causa della pandemia la comunità ha chiuso, riversando i ragazzi per le strade, lei è rimasta, sempre con la speranza che in futuro le cose sarebbero migliorate.

Come scopo principale, “Casa Carlo”, ha quello di offrire un luogo sicuro ai giovani del quartiere, in primis per studiare, offrendo mezzi che giovani non avrebbero alcuna possibilità di avere, come biblioteche e computer, ma anche un luogo di divertimento, dove svolgere varie attività: ballo, basket, calcio. In modo particolare nella comunità la suora si occupava dei più deboli, i cosiddetti “restavek” (“resta con”), bambini che vengono affidati e vivono con una famiglia diversa da quella d’origine e che spesso finiscono per essere sfruttati come domestici e maltrattati.