Che cosa significa “stare a passo coi tempi”? È l’interrogativo che pone la recente vicenda di una suora che, durante uno shooting tra i quartieri Spagnoli a Napoli, ha interrotto la scena di un bacio tra due modelle. Il video, postato su Facebook, è diventato virale con molti commenti di condanna della “povera suorina”, rea di non essere, appunto, “al passo coi tempi”.
L’espressione (stare al passo coi tempi) è adoperata come metro di giudizio sociale, portando in sé un intrinseco valore che può essere sia positivo sia negativo. Nella vicenda della suora, ad esempio, ha valore positivo se si condivide il bacio tra le modelle; altrimenti (come è capitato alla suora) ha valore negativo. Mancando di un punto di riferimento obiettivo su cui far pesare il giudizio, il metro sociale è relativista: opera con criteri non oggettivi, ma soggettivi.
Ci sono valori della vita ai quali non si può rinunciare se non al prezzo di malversare la propria esistenza. È su questi valori che andrebbe tarata qualsiasi operazione di valutazione e giudizio di performance esistenziali o sociali. Uno di questi valori è la libertà della persona, accettata universalmente, da tutti, come valore sacrosanto e inviolabile. Al cospetto di questo valore, la condanna della suora fa arrossire: nega la libertà a una persona (suora) pur di affermare uno stile di vita coniato (da chi?) come “al passo con i tempi”. Si utilizzano due pesi e due misure in situazioni analoghe per dignità: sia le modelle (che si sono scambiate il bacio) sia la suora (alla quale non è piaciuto quel bacio) hanno identico diritto di libertà di pensare, di credere e di vivere la vita. Eppure l’atteggiamento delle prime è accettato, anzi esaltato; quello della suora rifiutato, anzi condannato.
Si potrebbe obiettare che, specularmente, anche la suora con il suo atteggiamento ha emesso condanna e limitato la libertà alle modelle. Non è così. Perché c’è una sostanziale differenza tra le due situazioni: alle modelle, tutt’al più, viene contestata (e condannata) l’azione; alla suora il suo modo di essere. Con il risultato che alle prime non è intaccata minimamente la dignità di persone; alla suora, invece, viene tolta del tutto con offese e mancanza di rispetto.
Riprovevole, poi, è l’aspetto pedagogico della vicenda, che rischia di favorire la nascita di gulag ideologici dove l’idea si fa superiore alla realtà. Chi legge questa vicenda – come si è visto sui social – è subdolamente persuaso a ritenere negativo l’atteggiamento della suora e positivo quello delle modelle, nonché a riprodurre lo stesso schema di giudizio in ogni altra situazione analoga. È un pessimo servizio educativo, favorito dallo spostamento del metro di giudizio dai valori universalmente accettati (come la libertà personale) verso gusti e preferenze soggettivi: si rinuncia a un “termine terzo” di paragone (che può essere preso soltanto dai valori che sono universalmente accettati) accettando il rischio di cadere in qualche forma di discriminazione (come avvenuto con la suora).
In conclusione, il vero della vicenda è il contrario di quanto è stato raccontato: è la consegna di una suora “al passo con i tempi”, cioè capace di esercitare la sua libertà di persona anche in contesti sociali, come dire, diversi e avversi. Come tutti dovrebbero comportarsi nei propri contesti di vita quotidiana: al lavoro, in politica, in società, in famiglia, etc.: essere se stessi, non quello che altri vogliono, cosa surrettiziamente perseguita da quanti giudicano la suora di “altra epoca”. È l’arma dell’intimidazione sociale e dei social: sei nessuno, sei sfigato, non stai cioè “al passo coi tempi”, se alzi la testa e non ti pieghi con obbedienza cieca alla logica del più venduto.
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