Nuovi passi avanti nella ricerca di terapie sanitarie per combattere il Covid-19. Si parla di una sorta di super anticorpi in grado, come ci ha spiegato il professor Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di intervenire su pazienti molto gravi. Una ricerca ipotizzata sin da subito, aggiunge Cauda, il cui obiettivo è riuscire a identificare gli anticorpi più “forzuti” nel sangue delle persone che dal Covid sono guarite. Il passo successivo sarà quello di ricrearli in laboratorio e utilizzarli come terapia, sotto forma di anticorpi monoclonali. Si tratta, come si legge nello studio pubblicato dall’autorevole rivista Science, “di due anticorpi particolarmente muscolosi. Testati sui criceti, hanno messo ko Sars-Cov-2, bloccando la famosa spike (la punta della corona) che il coronavirus usa per legarsi alle cellule umane e il recettore Ace2 che funge da chiavistello di ingresso”. In sostanza, non si parla di vaccino, puntualizza Cauda, ma di farmaci: “Sono anticorpi molto specifici, diretti in particolare verso lo spike, che iniettati in un organismo colpito dal Covid possono bloccarne lo sviluppo”.



Perché è importante la scoperta di questi super anticorpi?

È uno studio in linea con un certo tipo di ricerca che va di pari passo con lo sviluppo del vaccino. Occorre ricordare, primo, che non disponiamo ancora di una terapia specifica contro il virus e, secondo, che non c’è un vaccino.

Quindi?

Siamo davanti a dati interessanti, anche se una metanalisi non ha confermato l’efficacia di una terapia con sangue iperimmune, però i dati di una metanalisi sono sempre relativi, nel senso che bisogna aspettare ulteriori studi clinici in corso. Purtroppo, davanti a questa malattia, si sconta il fatto che è molto recente, siamo a otto-nove mesi dalla sua comparsa e bisogna ammettere che l’attività scientifica è stata impressionante. Però ha limiti temporali abbastanza significativi.



Lo studio si sofferma sul fatto che, partendo dal sangue di pazienti convalescenti e usando tecniche di laboratorio molto sofisticate, si cercano tra i milioni di cellule quelle rarissime che producono gli anticorpi che neutralizzano lo spike del virus; è così?

Se il vaccino stimola la produzione di anticorpi, il sangue iperimmune con anticorpi neutralizzanti può rivelarsi utile nelle forme più gravi. Ci sono studi, come quello che si sta approfondendo a Siena, che indicano come una serie di anticorpi monoclonali diretti verso le proteine dello spike possano neutralizzarlo. La filosofia alla base del nuovo studio è che si rivolge a soggetti che soffrono della malattia nelle sue forme più gravi, ma è qualcosa che non è ancora entrata nella pratica clinica. È lecito supporre che ne possano giovare le forme più gravi: sono una minoranza, pari al 20%, che richiede attenzione particolare e tra questi un 5% circa che può richiedere la terapia intensiva. Ritengo che questi pazienti possano far ricorso a questi anticorpi monoclonali, che tuttavia non hanno la valenza di una vaccinazione. Funzionano al momento, poi scompaiono.



Come si può definire, allora, questo studio?

Una pratica più sofisticata rispetto alla terapia con il plasma iperimmune, dove sono presenti gli anticorpi naturali, mentre in questo caso sono anticorpi molto specifici, diretti in particolare verso lo spike e che iniettati in un organismo colpito dal Covid ne bloccano lo sviluppo. Questo studio, per ora ipotizzato, identifica alcuni anticorpi che potrebbero avere valenza in terapia. È un’ipotesi di ricerca che si è considerata fin da subito, non avendo un farmaco convenzionale. Adesso potrebbe essere che questo studio aiuti a superare le forme più gravi in cui il virus si può diffondere.

Dunque questa terapia non ha la stessa valenza e importanza di un vaccino?

Assolutamente no. Chiaramente è una buona notizia perché, come ha ipotizzato qualche collega, ci sarebbero ancora pazienti gravi che necessitano di anticorpi, ma procede su un piano diverso, benché parallelo, al vaccino. Questi anticorpi verranno iniettati su pazienti malati, mentre il vaccino ha lo scopo di essere usato su persone sane per far sì che non si ammalino. 

La memoria anticorpale del sistema immunitario verso altri virus (per esempio, la presenza di anticorpi dopo un recente attacco influenzale) può incidere sulla risposta dell’organismo contro il Covid? 

Questo è un argomento dibattuto fin dall’inizio nell’ambito delle discussioni scientifiche, anche se non è emerso come elemento di interesse mediatico. Adesso, avvicinandoci alla stagione influenzale, viene riproposto. In un soggetto sottoposto a vaccinazione, utilizzando per esempio un vaccino vecchio come quello contro la tubercolosi, che viene impiegato nei paesi pi poveri ma in Europa non si fa più, può ridurre nell’età pediatrica le forme più gravi.

Intende dire che una vaccinazione antinfluenzale non darebbe risultati contro il Covid?

Una vaccinazione antinfluenzale potrebbe, ma il condizionale è d’obbligo, allenare il sistema immunitario a sviluppare una risposta anticorpale e potrebbe stimolare una immunità cellulare che potrebbe avere un più ampio spettro di azione verso una quantità di microrganismi tra cui lo stesso Covid. È una evenienza su cui si può discutere, ma non è stata ancora dimostrata.

A proposito di vaccino, l’Agenzia europea del farmaco ha avviato l’inter di approvazione del candidato vaccino Oxford prodotto insieme ad AstraZeneca, il primo ad arrivare a questa fase. Come va interpretato questo annuncio? 

Si tratta della cosiddetta Rolling Review, un inizio della valutazione dei dati pre-clinici e clinici iniziali che saranno seguiti da altri dati sui soggetti su cui si sta testando il vaccino. È un modo per accelerare i tempi, ma non è nessun tipo di autorizzazione. L’agenzia si avvantaggia per quando verrà presentato il dossier completo del test. Ovviamente saranno inseriti i risultati di questa review e di quella successiva, in modo da auspicare sicurezza ed efficacia prima dell’autorizzazione.

Significano tempi più veloci?

No. Il fatto che sia iniziata la Rolling Review adesso vuol dire che c’è il desiderio di cominciare la valutazione, fatto salvo succeda qualcosa di imprevedibile, come effetti collaterali. Ricordiamo che c’era già stato uno stop. Peraltro negli Usa la sperimentazione non è ancora ripresa, si sta ancora valutando se dare il placet alla sperimentazione. In Europa invece il vaccino viene testato e la sperimentazione è ripresa.

(Paolo Vites)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori