La premessa. “Oltre ai turisti stranieri respinti dalle strutture turistiche pur essendo vaccinati ma con vaccini come Sputnik o Sinovac – sostiene Federturismo Confindustria – lo stesso problema si pone adesso anche per tutto il mondo del business travel, un segmento importantissimo della nostra economia. Migliaia di clienti e uomini d’affari provenienti da più parti del mondo, pur vaccinati, non possono entrare nel nostro Paese per utilizzare i servizi che oggi richiedono un Green pass rafforzato come hotel, ristoranti, mezzi di trasporto, ecc.



Si tratta di un bacino esteso che riguarda molte e importanti nazioni extraeuropee, come, ad esempio, Cina, Russia e Paesi del Sud-Est asiatico, un mercato imprescindibile per la nostra economia”. “La questione è politica – dichiara la presidente di Federturismo Confindustria Marina Lalli -, il Governo deve intervenire al più presto per riconoscere la validità dei vaccini non approvati dall’Agenzia europea. Una misura fondamentale per incentivare la ripresa del turismo che anche quest’anno ha registrato -38,4% di presenze negli esercizi ricettivi rispetto al 2019, del business travel ma anche di altri settori che negli ultimi periodi hanno sofferto molto l’assenza di questa clientela”.



Lo stato dell’arte. Dei vaccini somministrati all’estero alcuni sono classificati come “equivalenti”, ovvero paritari rispetto a quelli effettuati nell’ambito del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Covid. Sono tre, tutti prodotti su licenza AstraZeneca: Covishield (Serum Institute of India); R-CoVI (R-Pharm); Covid-19 vaccine-recombinant (Fiocruz).

“Tali vaccini – chiarisce il ministero della Salute – sono considerati validi ai fini dell’emissione della certificazione verde Covid-19 a favore dei cittadini italiani (anche residenti all’estero), ai i loro familiari conviventi, ai cittadini stranieri che dimorano in Italia per motivi di lavoro o studio, indipendentemente dal fatto che siano iscritti al Servizio Sanitario Nazionale o al SASN (assistenza sanitaria al personale navigante) e a tutti i soggetti iscritti a qualunque titolo al Servizio Sanitario Nazionale che sono stati vaccinati all’estero contro il SARS-CoV-2. La certificazione verde dovrà riportare almeno i seguenti contenuti: dati identificativi del titolare (nome, cognome, data di nascita); dati relativi al vaccino (denominazione e lotto); data/e di somministrazione del vaccino; dati identificativi di chi ha rilasciato il certificato (Stato, Autorità sanitaria)”.



Resta quindi il problema delle persone vaccinate all’estero con un vaccino non autorizzato dall’EMA (agenzia europea per i medicinali). Sembra, ad esempio, che sarebbero circa 100 mila i lavoratori in Italia vaccinati con Sputnik o Sinovac (vaccini russi e cinesi), e quindi senza Green Pass. Dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) è arrivato però un escamotage già recepito dal ministero: “Questi soggetti – chiarisce sempre il ministero – possono ricevere una dose di richiamo booster con vaccino a m-RNA (Comirnaty o Spikevax), a partire da 28 giorni e fino a un massimo di 6 mesi dal completamento del ciclo primario. Il completamento di tale ciclo vaccinale integrato è riconosciuto come equivalente. Superato il termine massimo di 6 mesi dal completamento del ciclo primario con vaccino non autorizzato da EMA, così come in caso di mancato completamento del ciclo, è possibile procedere con un ciclo vaccinale primario completo con vaccino a m-RNA”.

È chiaro che il tutto non risolve la questione: difficile immaginare che un buyer o un turista straniero si prenoti per un booster in Italia ancor prima di iniziare il suo calendario di viaggio. È però anche vero che obiettivo dell’EMA non è ostacolare il mondo del longtravel o del business internazionale: al vaglio dell’ente europeo risultano ancora oggi vaccini quali Novavax, CureVac AG, Sputnik V, Vidprevtyn. Mentre i contratti di forniture in essere riguardano AstraZeneca (400 milioni di dosi), Sanofi-GSK (300 milioni di dosi), Johnson and Johnson (400 milioni di dosi), BioNTech-Pfizer (2,4 miliardi di dosi), CureVac (405 milioni di dosi), Moderna (460 milioni di dosi), Novavax (200 milioni di dosi) e Valneva (60 milioni). Per gli altri vaccini sviluppati e utilizzati in altri Paesi l’EMA sta procedendo con la valutazione della sicurezza, dell’efficacia e della qualità del prodotto. In seguito, e nel caso gli accertamenti siano stati positivi, invierà una raccomandazione alla Commissione europea, che “verificherà la solidità di tutti gli elementi a sostegno dell’autorizzazione all’immissione in commercio, tra cui le motivazioni scientifiche, le informazioni sul prodotto, il materiale didattico per gli operatori sanitari, l’etichettatura e il foglietto illustrativo, gli obblighi per lo sviluppatore di vaccini, le condizioni d’uso e gli eventuali obblighi per gli Stati membri”.

Sembrano iter farraginosi ed enormemente complessi, e in realtà lo sono, ma sono anche necessari per garantire l’affidabilità e l’efficacia dei sieri, e limitare già alla fonte possibili diffidenze, se non peggio. Si resta comunque in attesa delle risultanze definitive delle analisi EMA sui vaccini “altri” o di un decreto ad hoc che riempia quello che sembra a tutti gli effetti un vuoto normativo tutto italiano: essendo di fatto necessario (o quasi) il Green pass per lavorare, bisognerebbe mettere i lavoratori stranieri e i turisti (pur vaccinati in patria) nelle condizioni di poterlo ottenere.

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