Se c’è un’icona che possa simboleggiare nel mondo, anche per qualcuno che non ne è appassionato, l’ambito dei videogiochi è quella di Super Mario, l’idraulico inventato da Shigeru Miyamoto per la serie di videogiochi Nintendo negli anni ’80: basti pensare che quando dovette presentare le Olimpiadi di Tokyo durante la cerimonia di chiusura di quelle di Rio, l’allora Premier Shinzo Abe si presentò vestito come l’idraulico della serie.



Al terzo tentativo, dopo uno sconosciuto film animato del 1986 e il fallimentare tentativo live action del 1993, quell’icona è divenuta anche protagonista di un film di grande successo, Super Mario Bros – Il film, che è arrivato a oggi a incassare un miliardo di dollari nel mondo (di cui 15 milioni in Italia) ed è il più grande successo per un film tratto da un videogioco.



Quali sono le ragioni del successo del film d’animazione diretto da Aaron Horvath e Michael Jelenic (animatori che all’attivo hanno la spassosissima serie Teen Titans Go!)? Probabilmente la prima è la mancanza di una trama elaborata – checché ne dicano i detrattori – che permette al film di poter recuperare i mondi del videogioco e variarli: nella sceneggiatura di Matthew Fogel, i due fratelli idraulici cercano di avviare un’attività in proprio, ma per risolvere un guaio che hanno combinato si trovano nel regno dei Funghi, vengono separati perché Luigi è catturato da Bowser e Mario dovrà combattere al fianco della principessa Peach per salvare il regno e il fratello.



Questo canovaccio permette allo sceneggiatore di costruire il racconto per mondi e per prove, sequenze d’azione e risate, basate sull’estetica e la mitologia della gigantesca messe di videogiochi che in 40 anni sono usciti a marchio Super Mario Bros. (partendo da Donkey Kong, in cui Mario era protagonista ma non si chiamava Mario), restando fedele al materiale di partenza e al suo spirito, agli elementi caratteristici che non diventano altro che la loro messinscena in chiave di moderna comicità animata, perché in originale non erano nient’altro – e aver cercato di farne altro è il motivo per cui il film del’93 con Bob Hoskins fallì.

Dove poi Horvath e Jelenic hanno buon gioco è nella forma cinematografica perfettamente in tono con i gusti del pubblico: grazie al lavoro di Illumination, lo studio d’animazione responsabile di Minions e Cattivissimo Me, le forme tonde e morbide, i colori vivacissimi, l’infantilismo delle immagini e delle gag si sposa con un ritmo accesissimo che garantisce azione e avventura senza pause. E mentre i bambini si divertono, gli adulti che li accompagnano si godono la loro personale caccia al riferimento, cercando di riconoscere tutte le citazioni dei videogiochi, un modo di catturare il loro ricordo senza titillarne la nostalgia.

Anche perché il mondo di Mario non è nostalgico, perché non è mai morto, ha saputo reinventarsi di continuo, cambiare pelle e adattarsi ai gusti dei giocatori senza mai invecchiare: questo film, che incamera dentro di sé tutte le incarnazioni della serie, dalla colonna sonora classica – che Brian Tyler riarrangia dall’originale di Koji Kondo – alle sue evoluzioni automobilistiche di Mario Kart. Certo, quello che qui praticano Horvath, Jelenic e i produttori è più scienza del marketing applicata che cinema, lo studio del pubblico è superiore alla potenza espressiva e forse gran parte degli spunti del film si trovano – applicati meglio – in Ralph spaccatutto; detto questo, Super Mario Bros. è pura efficacia messa nella forma di un film.

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