I mass media pubblicano quotidianamente l’elenco delle truffe ai danni dell’erario generati dall’attuazione del Superbonus 110%. L’ultimo aggiornamento l’ha fornito nella giornata di ieri il quotidiano Libero che stima in 12 miliardi quelle accertate dalla Guardia di finanza per le opere non eseguite, i crediti d’imposta trasferiti senza un corrispettivo di lavori con l’utilizzo di committenti prestanome e di imprese fasulle e altre amenità del genere.
L’ex ministro dell’Economia del Governo Conte giallo-verde, Giovanni Tria, le definisce correttamente come truffe con la complicità dello Stato, fornendo una serie impressionante di argomenti che giustificano l’affermazione. A partire dalla promozione di una legge che finanzia le ristrutturazioni abitative per un valore superiore ai costi di esecuzione e che incentiva i committenti e le imprese a caricare sullo Stato tutte le spese possibili o a rappresentarle in modo scorretto rispetto a quelle formalmente eseguite.
Negli articoli dedicati all’argomento redatti in tempi non sospetti, avevamo cercato di illustrare i rischi della formazione di una bolla speculativa, che si sono puntualmente verificati nei due anni di vigenza del Superbonus. Con conseguenze destinate a vanificare anche i potenziali vantaggi promessi ai committenti rispetto alle vecchie detrazioni, per effetto del vertiginoso aumento: dei prezzi dei materiali e delle prestazioni; dei costi di intermediazione sulla cessione dei crediti d’imposta; delle certificazioni delle opere da parte dei professionisti. Con ricadute negative anche sui committenti e sui costi delle ristrutturazioni che non hanno usufruito del Superbonus.
La cosa curiosa è che la bolla speculativa è stata pure spacciata come una misura che ha contribuito in modo determinante alla crescita del Pil che si è registrata nei due anni recenti, il 40% secondo gli esponenti del M5s, generando un gettito fiscale per l’erario che avrebbe coperto circa i due terzi dei costi sostenuti dallo Stato. Tesi smentite dalle analisi dell’Istat più recenti che riducono all’1,4% il contributo delle costruzioni alla crescita del Prodotto interno lordo, ma che nel frattempo hanno trovato il conforto nelle indagini effettuate da alcuni centri di ricerca sovvenzionati dalle imprese e dai professionisti del settore, in particolare quelle sviluppate da Nomisma e dal Censis, che cercano di dimostrare la fondatezza di queste analisi stimando anche i benefici sul valore del patrimonio e del risparmio energetico generato per la collettività. Tanto da consolidare l’idea che l’espansione della spesa dello Stato per finanziare quella dei cittadini costituisca un vantaggio per l’intera collettività.
Tutto si poteva immaginare, fatta salva la capacità dell’Amministrazione dello Stato di stimare almeno le conseguenze sul debito pubblico di queste politiche dissennate. Invece, nel bel mezzo di una discussione parlamentare tesa ad allargare la cessione del credito di imposta da parte dei committenti, delle imprese e degli intermediari finanziari, per disincagliare le opere rimaste a metà del guado per il blocco degli incentivi, il Governo in carica, con un decreto legge ha disposto il blocco immediato delle cessioni constatando a posteriori di dover adeguare la stima del debito pubblico, per un importo vicino ai 120 miliardi, nei prossimi 5 anni.
Cosa fatta capo ha? Nient’affatto. Dobbiamo anche ponderare quali possono essere le conseguenze parallele della bolla speculativa generata dal Superbonus sul prosieguo delle attività delle costruzioni.
La prima, del tutto evidente, è la perdita di credibilità e di fiducia sull’utilizzo delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie. Il ripristino delle vecchie detrazioni avviene in coincidenza di un aggravamento delle procedure di accertamento e di certificazione delle prestazioni, anche di importo relativo, che penalizza i costi e i tempi di esecuzione delle opere. D’ora in poi i vantaggi per i committenti saranno condizionati dalla capienza fiscale personale, un fattore che penalizza le famiglie con redditi medio-bassi.
La seconda è derivante dall’effetto di sgonfiamento della bolla speculativa. L’aumento repentino delle imprese e dell’occupazione nel settore ha messo in moto una massa di attori, molti dei quali con organizzazioni improvvisate, che dovranno fare i conti con il ridimensionamento delle attività, con effetti diretti e sull’indotto. Una tendenza che dovrebbe, in positivo, generare un ritorno dei prezzi e dei materiali di costruzione su livelli più ragionevoli, se non fosse che, nel frattempo, l’aumento degli interessi su mutui erogati dalle banche per finanziare le ristrutturazioni sono triplicati: il corollario inevitabile della crescita dell’inflazione che è destinato a comprimere la domanda di nuovi interventi.
L’inversione di tendenza non sarà indolore per il settore delle costruzioni. Gli orientamenti che si stanno predisponendo nelle sedi delle istituzioni dell’Ue per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio, per quanto si possano diluire nel tempo, comporteranno una mole di investimenti, di risorse private e di incentivi pubblici che sarebbe stato utile avere a disposizione anziché essere costretti a destinare 20 miliardi l’anno per i prossimi 5 anni per rimediare i danni provocati dal Superbonus sul debito pubblico. Il tutto per migliorare la qualità del 2% del patrimonio abitativo nazionale.
Adesso il compito della politica non è quello di piangere sul latte versato, ma di trovare una ragionevole via d’uscita per i cantieri rimasti a metà del guado e soprattutto per ricostruire una politica per l’efficientamento del patrimonio edilizio capace di mobilitare risorse private in modo stabile e per obiettivi di medio-lungo periodo.
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