Fondi in esaurimento e truffe ai danni del Fisco sono il tormentone di questa estate rovente anche per il Governo intenzionato a voler ridimensionare un meccanismo incentivante andato oltre ogni ragionevolezza. A farne le spese sono gli attori sani della filiera quelli che ci hanno creduto e che non hanno anticipato quei comportamenti volti ad accelerare i processi di cessione/liquidazione dei crediti che hanno invece attuato coloro il cui obiettivo è quello di scappare con la cassa.
A guardare bene ciò che con ogni probabilità ha “drogato” il sistema è la sovrapposizione di due aspetti. Da un lato, è stato varato un contributo sicuramente generoso (superbonus 110% e il 90% del bonus facciate) e, dall’altro, la possibilità di liquidare un incentivo, già presente da anni, e fruibile in 10 anni. Questa seconda possibilità ha contribuito, forse più della generosità del contributo, a elevare il costo degli interventi. I maggiori costi degli interventi, infatti, hanno dovuto compensare l’eccesso di “sconto” che i cessionari hanno applicato alle cessioni.
Lo scenario fuori controllo è completato anche dall’impossibilità di quantificare la mole di interventi messi in campo dagli italiani. Il dato effettivo, infatti, sarà rilevabile solo dopo che le comunicazioni consuntive dei lavori vengono effettuate. Appare, dunque, ragionevole la posizione del Governo intenzionato a non prorogare l’incentivo almeno in questo contesto. Al momento è noto che sarà allargato il meccanismo delle cessioni, ampliandolo ad altri soggetti oltre alle banche, con la sola esclusione delle persone fisiche.
Il nuovo scenario pone gli operatori della filiera di fronte a un altrettanto nuovo scenario che, varato per arginare le frodi, suona da monito per i potenziali nuovi cessionari. Viene stabilito, infatti, che i cessionari dovranno prestare la massima attenzione, individuata nella “diligenza”, che bisogna seguire nel verificare i requisiti della cessione. Nel settore, quindi, regna il caos che sta provocando una crisi di liquidità senza precedenti e rischia di portare numerose imprese al fallimento con ricadute sull’occupazione. L’apertura alle cessioni nei confronti del popolo delle partite Iva non promette bene. Il combinato disposto dell’apertura delle cessioni ai titolari di partita Iva e la necessità di essere diligenti lascia presagire che si scaricherà sul famoso “parco buoi” tipico delle attività di borsa di una volta. Sorge spontaneo chiedersi il motivo per cui in un sistema finanziario come il nostro, dove le piccole imprese faticano a trovare un sistema alternativo di finanziamento (mini bond, Pir, ecc.), si chiede alle partite Iva di mettere a disposizione la loro liquidità con il miraggio di un rendimento da valutare in 10 anni.
È facile presagire che il sistema, se sarà mantenuta la spada di Damocle della responsabilità del cessionario, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate e confermato dalla Guardia di Finanza, non si sbloccherà.
In questo contesto bisogna trovare rimedi operativi e non penalizzanti. In primo luogo, va fissato un plafond laddove ci sia ancora una volontà di proseguire con l’incentivo. Un secondo passaggio passa per l’introduzione di un monitoraggio dei lavori programmati e avviati finalizzato a quantificare l’esborso che ci si troverà a sostenere nei prossimi anni. La necessità di introdurre un monitoraggio si rese necessaria già in occasione dell’introduzione della prima versione del credito di imposta disposto in favore delle le imprese ubicate in aree svantaggiate (l. 388/200) ed è richiesta anche oggi in numerosi casi con possibilità di operare verifiche sulla “personalità” dei soggetti coinvolti utili se fatte in via preventiva.
Non è da escludere che vada introdotto un meccanismo di compartecipazione chiedendo ai beneficiari di pagare, pur mantenendo il beneficio della detrazione che però non potrà essere ceduta, una parte dell’intervento. La compartecipazione potrebbe limitarsi all’Iva (l’aliquota in genere applicata a questi interventi è del 10%) ad esempio. La compartecipazione suggerita è senz’altro auspicabile in quanto favorirebbe la reintroduzione del contraddittorio tra committente e prestatore utile per il contenimento del costo degli interventi.
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