Il tema attuale è trovare una via di uscita al “blocco” posto alla circolazione dei crediti fiscali e non solo quelli edilizi nascenti dalle ristrutturazioni. Le agevolazioni legate agli interventi manutentivi erano rodate, in vigore da tempo, avevano avuto un discreto successo avendo favorito il recupero del patrimonio edilizio e dato impulso al comparto. Le attuali tensioni discendono dall’introduzione nel sistema di alternative all’utilizzo diretto, da parte dei beneficiari, delle detrazioni fiscali.



Il cortocircuito nasce da un’interpretazione volutamente errata che si vuole dare della norma che prevede la possibilità di cedere che invece viene declinata come se qualcuno dovesse acquistare i crediti. Le problematiche attuali hanno diverse origini. La politica ha cavalcato a fini sondaggistici ed elettorali questa opportunità, non ha compreso, complice anche i tecnici ministeriali, che l’agevolazione come si stava affermando stava diventando ordinaria e illimitata finendo così per diventare ingestibile per il bilancio dello Stato. Anche le imprese hanno le loro colpe, in quanto forzando l’interpretazione del “possono” hanno contribuito ad alterare il mercato e hanno messo da parte l’alea che accompagna il fare impresa scaricandola sullo Stato (che siamo tutti noi) che alla fine avrebbe dovuto pagare.



Lo spazio di manovra oggi è stretto. La tecnicalità originaria delle agevolazioni era chiara: i crediti spettanti utilizzabili in dieci anni possono essere ceduti o monetizzati con il sistema dei rimborsi Irpef e/o delle compensazioni in F24. Un’attenta programmazione doveva procedere seguendo questo schema. Il primo step per le persone fisiche era verificare se la propria capacità reddituale avesse o meno capienza fiscale ovvero imposte da pagare o che già pagate potessero essere nettate con il credito spettante. Sulla base di questa verifica avrebbero dovuto programmare gli interventi da fare senza “eccedere”. Il secondo step a carico delle imprese era verificare la possibilità di compensare al proprio interno i crediti derivati dallo sconto in fattura che andavano a proporre con la capienza dei debiti erariali e/o previdenziali che avrebbero maturato per gli anni futuri (almeno dieci anni o cinque in alcuni casi). Dunque gli attori, imprese e privati, erano chiamati a essere diligenti ovvero programmare attentamente, da un lato, le spese di ristrutturazione e, dall’altro, lo sconto in fattura da proporre. Nella realtà, invece, la diligenza è stata messa da parte dando per scontato che la cessione (assalto alla diligenza) in favore delle banche sarebbe stata la soluzione vincente e illimitata grazie alla creazione di moneta fiscale.



Le banche, dal loro canto, nell’agire imprenditoriale hanno redatto i propri bilanci previsionali e si sono rese rapidamente conto che l’acquisto da parte loro dei crediti non poteva essere illimitato. Gli acquisti, infatti, avevano e hanno un limite individuato nella capacità dei loro bilanci di compensare i crediti acquisiti con i debiti propri da pagare. La valutazione ha portato al blocco del settore. A ben vedere questo blocco è stata una fortuna per il bilancio dello Stato. Il realismo ha preso il posto della superficialità. Senza un intervento deciso, le Entrate pubbliche si sarebbero azzerate e soprattutto non era chiaro per quanto tempo.

In questo contesto il Governo (tecnico) Draghi lo aveva compreso, ma non aveva la forza politica per varare un provvedimento dirompente. Il Governo Meloni (politico) con (il tecnico e politico) Giorgetti ha dovuto prendere atto che il sistema non era più gestibile e non per colpa (solo) delle truffe che nella realtà sono fisiologiche e arginate dai provvedimenti correttivi. Oggi il vero problema sta nel costo delle ristrutturazioni che è lievitato, in assenza di un contraddittorio in fase di contrattualizzazione, in misura ingestibile per tutti.

Bene ha fatto, dunque, il Governo a stabilire una data a partire dalla quale il sistema cambia e deve diventare (ritornare ad essere) responsabile e sostenibile. Rimane il tema di gestire il passato. Non è un’operazione facile. Il primo passo è misurare i crediti maturati attraverso un monitoraggio. Il secondo passo, quello veramente complicato, è dare liquidità alle imprese che hanno maturato i crediti. La strada di smobilizzare i crediti attraverso i modelli F24 dei clienti delle banche è una soluzione, ma accelererebbe l’utilizzo dei crediti e ciò impone di verificare se sia sostenibile o meno per le finanze statali.

Gli auspicati interventi di Mediocredito Centrale trasferirebbero il rischio in capo allo Stato per cui andrebbero subordinati a un accertamento del merito creditizio. Forse proprio quest’ultimo prerequisito, che a ben vedere esisteva anche all’origine, potrebbe essere la strada da percorrere chiedendo alle imprese di compartecipare. Riportare il sistema al “possono cedere” deve essere la strada da percorrere per responsabilizzare il sistema. Aziende nate dal nulla senza storia, senza dipendenti, avrebbero accesso al credito? Redditi incapienti avrebbero programmato ristrutturazioni integrali dei propri immobili? Chi ha avuto l’immobile ristrutturato potrebbe accettare di essere chiamato a pagare una piccola quota di Imu o di altra imposta per un periodo limitato che restituirebbe alla collettività una percentuale del beneficio ricevuto?

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