Abbasso il superbonus, viva il superbonus. L’ennesima incarnazione del sussidio più discusso della storia italiana – inventato a suo tempo dal Governo Conte per incentivare la ristrutturazione energetica a fini ecologici degli immobili – è andata in scena nel solito clima tra la pochade e la tragedia, con Forza Italia occasionalmente nei panni del paladino dei cittadini contribuenti e le altre forze di Governo che fischiettavano guardando altrove.



Un compromesso, l’ennesimo, in virtù del quale i “redditi bassi” (ma quanto bassi, se sono proprietari di casa?) ossia (parrebbe questa la risposta) quelli fino a 15mila euro, anche se (come nel 99,99% dei casi) non riusciranno a ultimare i lavori entro dopodomani, 31 dicembre, a patto che almeno il 60% l’abbiano eseguito, saranno aiutati con “un fondo” non meglio specificato né dimensionato. Un modo per buttare una palla, o pallina, in tribuna. Quindi una mini-sanatoria, senza per fortuna smentire un’altra norma-ponte già in atto, cioè la possibilità di utilizzare ancora l’agevolazione sia pure ridotta al 70% per il 2024.



Ora dev’essere chiaro che, al netto del peso specifico di queste norme-ponte che avvicinano alla fine vera e propria dell’agevolazione, la frittata – ai fini dei conti pubblici – è bell’e che fatta. Ovvero: i 100 miliardi circa già a carico dello Stato ci sono; e altri 30 si accumuleranno. Pace: sono nel debito pubblico, sta in noi recuperare il malfatto.

Ma questo è il punto: siamo sicuri che sia stato “malfatto”? Diciamo subito che la vera scemenza è stata la percentuale: quel 110% ha significato per gli acquirenti dei beni e dei servizi (proprietari ristrutturatori) non interessarsi più della tradizionali e sacrosante negoziazioni sui prezzi, e per i fornitori poter scialare con preventivi avidissimi… tanto, pagava Pantalone. Dunque, botta d’inflazione edilizia, che si è riverberata su quella generale. E poi, diciamolo: se si fosse lasciato un 20% a carico integrale dei ristrutturatori, chi – sano d’intenti e di mente – avrebbe rinunciato alla possibilità di recuperare, anzi mai spendere, l’80% dell’importo?



Dunque, una sovvenzione mal scritta ma, paradossalmente, non “mal pensata”. Proviamo a spiegarci.

O la decarbonizzazione è davvero – come protestano le autorità europee – un obiettivo ineludibile per tutti noi, pena l’immersione del pianeta negli oceani; allora altro che 110%: siamo in drammatico ritardo sulle ristrutturazioni edilizie come sulle auto elettriche come sulla produzione di energie rinnovabili. E non a caso nel 2023 abbiamo installato meno della metà dei parchi eolici e fotovoltaici che sarebbero stati necessari per raggiungere gli obiettivi dichiarati per l’autoproduzione da fonti rinnovabili. Siamo in ritardo sulle auto elettriche di dieci misure, e sull’installazione della rete delle ricariche altrettanto. E la direttiva casa emanata dalla Commissione europea per regolare la materia del superbonus comporterebbe, se approvata com’è uscita dagli uffici della Von del Leyen, 600 miliardi di costi per l’Italia: e chi li paga, le famiglie? Ma figuriamoci.

E se Biden eroga 10mila dollari di contributi a chi compra un’auto elettrica, com’è pensabile che italiani ed europei si accontentino di 1.500 euro?

Dunque, il superbonus sarò stato scritto male, e anche malissimo; avrà perso la sua battaglia, ma non ha perso la guerra.

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