Giancarlo Giorgetti si aspettava un’accoglienza un po’ più attenta per l’appello sulla tenuta dei conti pubblici lanciato nei giorni scorsi. Qualche schermaglia l’aveva messa in conto, ma davanti alla tenace resistenza di Forza Italia è dovuto arrivare al punto di minacciare le dimissioni. “È ora di fermare il debito”, ha detto, “o si fa come dico io o lascio”. Avvertimento pesante alla vigilia delle elezioni europee. Giorgetti non bluffava: è risaputo che quella poltrona lo stanca da un pezzo. E infatti ieri sera alla commissione Finanze del Senato è passato l’emendamento del Governo al decreto Superbonus che dispone l’obbligo di spalmare i crediti per 10 anni (anziché su quattro) con effetto retroattivo. È l’ipotesi per la quale il ministro dell’Economia aveva messo a disposizione la propria poltrona. Al partito degli azzurri è rimasto un contentino, cioè lo slittamento al luglio 2025 della “sugar tax”, ovvero il tributo aggiuntivo sulle bevande zuccherate. Scivola poi al 2026 la “plastic tax”.



Al grido di “con noi al governo non saranno mai approvate nuove tasse, che si chiami sugar tax o patrimoniale”, Antonio Tajani aveva fatto intendere che non avrebbe avuto ripensamenti. Invece un punto di mediazione sul dl Superbonus è stato trovato, tutto a favore del ministro dell’Economia: gli azzurri, infatti, non hanno votato contro l’emendamento ma si sono astenuti. Contro la retroattività c’erano tutta Confindustria e il potente settore produttivo dell’edilizia, dei cui interessi Forza Italia si è fatta portavoce. Giorgetti ha avuto la meglio ed esce sicuramente rafforzato da questo braccio di ferro.



Ha guadagnato punti politici anche Italia Viva, che ha votato a favore. Matteo Renzi rimette un piede nella maggioranza, sia pure temporaneamente, anche se il suo sostegno occasionale non può essere considerato un’alternativa realistica a uno dei due partiti minori dell’attuale maggioranza. Comunque più che un segnale di attenzione al Governo Meloni è l’ennesima ghiotta occasione per Renzi di votare contro Giuseppe Conte e i bonus dei 5 Stelle.

Chi ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte è invece Tajani. Il vicepremier ha incassato il colpo con disinvoltura: “Non c’è nessuna guerra, ci sono posizioni politiche di principio”, ha commentato a proposito dello scontro con Giorgetti sul superbonus. In realtà tra i due ministri sono volate parole grosse e ultimatum. Ma la partita non è stata giocata bene da Tajani perché, pur di difendere le lobby industriali, Forza Italia si è cacciata in un vicolo senza uscita. È vero che il Governo, come ha denunciato l’opposizione, oltre all’appoggio non disinteressato di Renzi è riuscito a ottenere anche l’assenza di un senatore che di solito vota con l’opposizione. Ma alla fine vince chi segna di più e stavolta a infilare il pallone in rete è stato Giorgetti. L’astensione degli azzurri resta un “vulnus” politico per un partito che, a dispetto di quell’aura di moderazione di cui si vanta, è sembrato seguire le peggiori orme dei populisti a 5 Stelle. Tornano in mente i giorni immediatamente precedenti il voto politico del 2022, quando Silvio Berlusconi disse che gli azzurri non volevano eliminare il reddito di cittadinanza, “come falsamente dicono i nostri avversari: anzi, vogliamo aumentarlo ed estenderlo a tutti i cittadini che sono nella povertà”. Un’evidente sparata demagogica preelettorale. Con la sua strenua difesa di quella voragine chiamata superbonus, e mettendo a repentaglio i conti pubblici, Tajani ha cercato di fare il bis.



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