Lo stop allo sconto in fattura per i lavori di ristrutturazione legati allo schema del “superbonus 110%” e i limiti alla cessione del credito rischiano di mettere in ginocchio un settore che negli ultimi mesi aveva vissuto una fase di boom. Il settore dell’edilizia arrivava da un lungo periodo di crisi iniziato nel 2007/2008 e sostanzialmente mai finito; la crisi dei debiti sovrani e l'”austerity” hanno prolungato in Italia gli effetti del fallimento di Lehman sul mercato immobiliare fino alla metà degli anni 2010. Qualche anno di respiro e poi sono arrivati i lockdown.
Gli incentivi del Governo Conte non hanno prodotto effetti distorti rispetto a quello che ci si poteva legittimamente attendere. Hanno prodotto un boom delle ristrutturazioni su un patrimonio immobiliare che negli ultimi quindici anni, a causa delle crisi, era invecchiato molto male; in molti hanno aggiunto di tasca propria quello che non era coperto dagli incentivi scegliendo una facile alternativa rispetto all’impiego dei risparmi su un mercato obbligazionario con rendimenti minimi. Le imprese di ristrutturazione che venivano da anni di vacche magre o magrissime, soprattutto nelle zone meno ricche del Paese, hanno ovviamente colto l’opportunità. Gli incentivi, giusti o sbagliati, equi o iniqui che fossero, hanno prodotto esattamente quello che erano stati pensati per produrre. Gli operatori che si sono trovati in pancia crediti fiscali da scontare per migliaia, centinaia di migliaia o milioni di euro non hanno sbagliato a fare i conti: hanno fatto esattamente quello che le norme del Governo avevano incentivato a fare.
Non riuscire a monetizzare i crediti in tempo congruo mentre occorre continuare a pagare stipendi e fornitori ha come unico esito il fallimento. A livello settoriale e di sistema il problema è tanto più grande quanto più generosi erano gli incentivi. Nemmeno si può sperare di ovviare all’impossibilità di incassare i crediti mandando avanti l’attività ordinaria su livelli comunque eccezionalmente alti. È impossibile perché la fine dello sconto in fattura ridimensiona il settore inesorabilmente. In sostanza l’impresa ha una montagna di crediti inesigibili e deve affrontare una riduzione secca del mercato potenziale. Anche in questo caso la riforma degli incentivi com’è stata immaginata produrrà effetti precisi: una grave crisi di un settore importante ed effetti a catena, anche finanziari, difficilmente circoscrivibili.
Riproporre lo schema del 110% senza sconto in fattura e cessione del credito pone un problema di equità diverso da quello posto nello schema originale per cui alcuni hanno avuto la casa ristrutturata gratis e molti no. La detrazione d’imposta in soli cinque anni, visto l’importo di una ristrutturazione profonda, agevola i percettori di reddito più alto ed esclude da interventi strutturali i redditi più bassi.
La questione è duplice. C’è un primo tema contingente di sopravvivenza di un settore che ha accumulato crediti fiscali “inesigibili” per importi molto alti. Il secondo tema, strettamente connesso al primo, è che questo fenomeno si è prodotto per gli incentivi e le norme decisi da un Governo.
Ci si chiede chi si potrà fidare in futuro nel caso il Governo attuale o quello prossimo, qualunque esso sia, decidano di incentivare qualsiasi altra attività. Un imprenditore serio, visto l’epilogo del superbonus 110%, non potrà fare altro che operare con estrema prudenza. Queste considerazioni valgono a prescindere dalle valutazioni sul decreto originale incluse quelle fortemente critiche. La riforma del superbonus non riapre il dibattito sulla bontà originale di questo schema, ma quello sulle conseguenze che si sono prodotte sul mercato come diretta conseguenza di una decisione governativa.
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