Con l’approvazione definitiva da parte delle Camere Parlamentari del decreto legge n.11/ 2023, avente per oggetto il blocco della cessione dei crediti fiscali relativi alle spese sostenute per l’esecuzione delle opere relative al superbonus 110% per le ristrutturazioni abitative, sono state individuate delle vie di uscita per i committenti rimasti alla metà del guado perché impossibilitati a sostenere i costi per il completamento delle opere.



Le commissioni parlamentari, con il consenso dell’Esecutivo, hanno svolto un’operazione certosina per conciliare l’obiettivo di frenare l’aumento del debito pubblico legato alla crescita incontrollata delle cessioni dei crediti e degli sconti in fattura, in particolare con le legittime rimostranze delle famiglie che avevano scelto di ristrutturare le proprie abitazioni sulla base delle norme vigenti. A determinare l’impasse dei cantieri sono stati principalmente due fattori: l’incertezza generata dai continui rifacimenti delle normative adottate dal Governo Conte bis nel 2020 e la crescita esponenziale dei costi di esecuzione derivante dai vertiginosi aumenti dei prezzi dei materiali, delle prestazioni, dai costi di intermediazione imposti dagli intermediari finanziari, per i nuovi oneri relativi ai supplementi di certificazione delle opere eseguite rilasciate dai professionisti abilitati introdotti dalle Autorità pubbliche per contenere gli abusi. Una tempesta perfetta completata dall’impossibilità di utilizzare in alternativa lo strumento delle detrazioni fiscali da parte dei singoli committenti per la mancata capienza fiscale della gran parte delle famiglie interessate.



Il nuovo impianto normativo sul Superbonus conferma il blocco strutturale della cessione dei crediti d’imposta e degli sconti in fattura per le opere avviate successivamente al 16 febbraio 2023, data di emanazione del nuove decreto, ma consente una serie di vie d’uscita per le ristrutturazioni delle abitazioni unifamiliari che registravano uno stato di avanzamento di almeno il 30% delle ristrutturazioni al 30 settembre 2022, con la possibilità di rendicontare le spese entro il 30 novembre 2023 utilizzando la cessione del credito d’imposta, pagando una penale di 250 euro nel caso non sia stato attivato entro lo scorso 31 marzo.



Una seconda via di uscita sul Superbonus viene offerta dalla possibilità di diluire su 10 anni, anziché sui 5 previsti in precedenza, le detrazioni sui redditi fiscali, dichiarati dai committenti per aumentare la possibilità di avere una capienza fiscale in grado di garantire il recupero. In questo caso la possibilità di avviare il recupero per le spese sostenute nel 2023 potrà avvenire solo a partire dalla dichiarazione fiscale da presentare entro il mese di settembre 2024.

Le soluzioni individuate sul Superbonus sono ragionevoli, ma l’impatto delle deroghe rimane condizionato dalla possibilità di trovare degli intermediari finanziari, in particolare le banche e le Poste, disponibili a riaprire l’accettazione dei crediti d’imposta. In tal senso hanno annunciato la loro disponibilità i principali gruppi bancari, a partire da Unicredit e Banca Intesa, e le Poste italiane. Una disponibilità che, con ogni probabilità, comporterà un aumento dei costi di intermediazione da parte dei committenti richiedenti.

Difficile che questo possa avvenire sul fronte del sostegno offerti dagli stessi intermediari alle imprese che utilizzavano lo sconto in fattura come garanzia per le anticipazioni finanziarie da parte delle banche. Una criticità che rischia di compromettere la continuità produttiva di migliaia di imprese.

Sul medio e lungo periodo le conseguenze rischiano di essere più dirompenti. Tutta la vicenda, oltre che generare una bolla speculativa sui costi delle opere, ha inevitabilmente compromesso la fiducia dei cittadini verso il sistema degli incentivi per le ristrutturazioni edilizie. L’abuso dei crediti d’imposta, degli sconti in fattura, e il blocco che ne è derivato, ha messo fine a strumenti che potevano essere utilissimi per rendere sostenibili gli interventi per migliorare la qualità energetica delle abitazioni con il concorso dei committenti ai costi delle opere, ad esempio per il rinnovo degli infissi e gli impianti termici e sanitari, che sono alla portata anche delle famiglie meno abbienti.

Il lascito del Superbonus ha comportato un’ipoteca sull’incremento del debito pubblico dei prossimi 5 anni e sulla capacità di veicolare il risparmio privato per migliorare un patrimonio abitativo che risulta largamente superiore ai fabbisogni della popolazione residente destinata a declinare per motivi demografici. Tutto ciò comporterà anche una svalutazione di una parte consistente del nostro patrimonio abitativo storico.

Tema ampiamente sottovalutato soprattutto se si tiene conto dei vincoli temporali per l’adeguamento delle classificazioni energetiche delle abitazioni che vengono imposti dai regolamenti in fase di approvazione da parte delle istituzioni dell’Ue.

La soluzione trovata sul Superbonus per l’uscita da una parentesi infelice delle nostre politiche economiche rappresenta solo il primo passo per la messa a punto di una strategia di medio e lungo periodo per le ristrutturazioni del patrimonio abitativo che tenga conto della sostenibilità ambientale compatibilmente con quella sociale ed economica delle famiglie.

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