La parte del disegno di Legge di bilancio 2022 dedicata alla revisione dei superbonus e delle altre detrazioni per le ristrutturazioni edilizie è quella predestinata a subire modifiche nel percorso parlamentare di approvazione. Tutti i principali gruppi politici si erano espressi a favore della proroga del superbonus del 110% per gli interventi antisismici e di risparmio energetico delle abitazioni introdotto dal Governo Conte-2 fino al 31 dicembre 2023, e persino di estenderlo agli immobili finalizzati alle attività economiche, in particolare per gli alberghi e per gli annessi agricoli.
Il tutto con l’ausilio di studi, o presunti tali, tesi a dimostrare come i vantaggi derivanti dalla tassazione per l’incremento delle nuove attività, e di efficientamento degli edifici, siano superiori agli oneri sostenuti dai contribuenti. L’alibi perfetto per sostenere la richiesta di espandere la spesa pubblica dedicata allo scopo.
In una recente audizione al Parlamento, ill ministro dell’Economia Daniele Franco, pur offrendo aperture alle richieste di prorogare il superbonus, consigliava prudenza, affermando in modo esplicito che questi interventi comportano oneri non sostenibili nel tempo. Consapevole che la pretesa italiana di coprire parzialmente la spesa con l’utilizzo dei nuovi fondi europei non verrà assecondata da Bruxelles.
Ciò premesso, rimane tutto da dimostrare che gli interventi in questione siano ragionevoli per l’interesse generale. Dopo un inizio problematico, dovuto alla complessità delle procedure e degli adempimenti per abilitare gli interventi che hanno comportato diverse modifiche normative e dei regolamenti attuativi, l’obiettivo di utilizzare il superbonus per rilanciare il settore delle costruzioni sembra aver colto il bersaglio, con un’attivazione di cantieri che hanno saturato gli impegni di spesa previsti. Un risultato persino eccessivo in termini di nuova domanda di prestazioni e di materiali, complicata dalla penuria di manodopera disponibile, che ha favorito una crescita dei prezzi che non ha precedenti.
La scelta di trasferire tutti gli oneri a carico dello Stato ha fatto venir meno l’effetto di calmierazione generato dal conflitto di interessi tra i committenti e i fornitori delle detrazioni che prevedevano comunque un concorso dei primi al sostentamento dei costi degli interventi. Per tutelarsi da questo rischio l’amministrazione pubblica ha introdotto una mole infinita di vincoli, adempimenti e certificazioni, che hanno comportato un aggravio dei tempi e degli oneri degli interventi, sempre a carico dello Stato. I costi delle intermediazioni bancarie per la cessione dei crediti di imposta comportano per i committenti un onere superiore al 10%.
La crescita dei prezzi delle materie prime in ambito internazionale ha completato il quadro della tempesta perfetta. Tra aumenti dei costi di progettazione, certificazione, intermediazioni bancarie, forniture e materiali, i potenziali vantaggi per gli utenti, che rimangono i soli responsabili di eventuali contenziosi con l’Agenzia delle entrate, è stato ridotto di almeno un terzo rispetto alle promesse iniziali. E una parallela riduzione del volume degli investimenti reali derivanti dalle risorse pubbliche impegnate, 14 miliardi di euro, fino alla scadenza del 30 giugno 2022.
In un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera, il vicedirettore Federico Fubini ha fornito alcune anticipazioni di uno studio effettuato dall”Enea, l’ente pubblico che vigila sull’attuazione degli incentivi per l’efficientamento energetico degli edifici, che metterebbe in evidenza, a parità di risorse pubbliche investite, una riduzione del 28% dell’efficacia del superbonus 110% rispetto ai risultati ottenuti con le vecchie detrazioni del 50%-65% sui costi delle ristrutturazioni edilizie (che negli anni recenti hanno comportato un costo medio annuo di circa 3,3 miliardi di euro a carico dello Stato). Tale studio non è stato confermato ufficialmente dall’ente in questione, probabilmente per ragioni di opportunità politica. Ma sono le evidenze empiriche prima richiamate a far ritenere che tali stime non siano lontane dalla realtà.
Le proposte di modifica dell’impianto delle detrazioni, introdotte nella Legge di bilancio, modificano radicalmente lo scenario. Il superbonus del 110% viene prorogato sino alla fine del 2023 esclusivamente per gli IACP (gli istituti per le case popolari) e per i condomini. Per le residenze unifamiliari la proroga viene limitata al 31 dicembre 2022, ma solo per le famiglie con un Isee inferiore ai 25 mila euro anno. Ma, soprattutto viene tolta la possibilità di cedere il credito d’imposta alle banche o alle imprese fornitrici tramite lo sconto in fattura. Ciò significa che le detrazioni future, comprese quelle del 50%-65% per le ristrutturazioni ordinarie, entro un massimale di 96 mila euro, potranno essere esclusivamente utilizzate in 10 rate annuali di rimborso nelle dichiarazioni dei redditi, nel limite della capienza delle tasse effettivamente pagate nel corso dell’anno.
Queste novità, se confermate dal Parlamento, sono destinate a generare tre conseguenze. La prima, più immediata, è provocare un’ulteriore accelerazione degli interventi da promuovere e da far approvare dagli enti locali, anticipando le spese nei primi 6 mesi del 2022. Incentivando in questo modo un’ulteriore, e pressoché inevitabile, crescita dei prezzi.
La seconda è la generazione di un clima di incertezza in termini di costi e benefici fiscali per tutti gli interventi, e non saranno pochi, che non saranno completati entro la data del 30 giugno 2022.
La terza, assai probabile, è un effetto recessivo nel comparto delle ristrutturazioni residenziali a valle della bolla speculativa generata.
Efficientare il patrimonio abitativo in termini energetici e sismici è indubbiamente positivo, ma non bisogna dimenticare che l’utilizzo effettivo di questo patrimonio rimane condizionato dall’andamento demografico negativo della popolazione residente e della dotazione media del patrimonio abitativo disponibile destinato ad aumentare di conseguenza.
Queste conseguenze, in parte inevitabili, potrebbero essere contenute tramite alcuni interventi, ad esempio: consentire di allungare le scadenze del superbonus per gli interventi già avviati; offrire una certezza di medio e lungo periodo alle detrazioni che rimangono in vigore disciplinando con più rigore la cessione del credito di imposta; ripensare le politiche abitative in funzione dell’invecchiamento della popolazione (ad esempio, migliorando la domotica e le barriere architettoniche), per adeguarle alle evoluzioni delle organizzazioni del lavoro e della valorizzazione del patrimonio inutilizzato.
L’esperienza del superbonus è un’ulteriore conferma dell’esigenza di un cambiamento di approccio nella valutazione dei costi e dei benefici della transizione energetica e ambientale, per evitare di associare le buone intenzioni, non di rado declinate in chiave demagogica, con risultati controproducenti.
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