LA TESTIMONIANZA DI SUSANNA TAMARO SULLA DISFORIA DI GENERE

Con coraggio, sul politicamente corretto “Corriere della Sera”, Susanna Tamaro dà una “lezione” sul tema delicato della disforia di genere e della “sfrenata” corsa dell’opinione pubblica a minimizzare problematiche e disagi sui “minori trans”. Il tema è serio e per questo usiamo le virgolette su “lezione” in quanto è tutt’altro che una esperienza calata dall’alto quello della scrittrice triestina: è una testimonianza, diretta, sincera, ricca di spunti e di domande, che tende a non condannare ma a dare un giudizio molto chiaro su quali problematiche vengono spesso “dimenticate” da una società che sembra correre in braccio ad ideologie “buoniste” (leggasi gender, ma non solo).



Prendendo spunto dagli ultimi casi di cronaca sulle ispezioni dell’ospedale Careggi – il centro clinico specializzato a Firenze sulla cura della disforia di genere con sospetti di “sottovalutazioni” sull’uso di farmaci bloccanti pubertà sui ragazzini giovanissimi – Tamaro sul “Corriere” racconta la sua di esperienza che affonda le radici molti anni prima, quando parlare di disforia di genere era ancora una lontana chimera: «Il modello identitario che ci viene continuamente proposto ormai è quello delle patelle, quei minuscoli molluschi che vivono abbarbicati in gruppo sugli scogli a cui la strabiliante creatività evolutiva ha donato l’ermafroditismo proterandrico che permette loro di cambiare sesso a piacere». Negli esseri umani le questioni sono molto più complesse in quanto non domina (solo) il tema sessuale, visto che per esempio nella persona esiste una cosa come il libero arbitrio da non sottovalutare: «Può capitare così di nascere maschi e desiderare di essere femmine o viceversa, di essere attratti da persone dello stesso sesso oppure anche di non provare alcun interesse per questo tipo di argomenti».



“ERO DEVASTATA DALLA DISFORIA, POI MI SONO SCOPERTA DONNA”: IL RACCONTO DI SUSANNA TAMARO SULL’INFANZIA E ADOLESCENZA

E così parte il racconto personale di Susanna Tamaro sulla sua infanzia, particolarmente segnata da una difficile considerazione del proprio corpo e delle proprie istintualità: «ho avuto l’infanzia devastata dalla disforia di genere e per questo ne posso parlare con cognizione di causa. Ho iniziato ad avere problemi fin dall’asilo, quello che nei primi anni era una forza primigenia e inconscia è diventata una disperata consapevolezza: ero scesa in terra nel corpo sbagliato». Non era solito parlare di questi argomenti all’epoca, confida Tamaro, e così il pianto e il chiudersi dentro tutto quel dolore avveniva ad ogni bambola regalato o vestito di bimba.



Verso gli 8-9 anni la sofferenza era però incontenibile, racconta la scrittrice oggi 66enne: «avevo sentito dire che a Casablanca si poteva cambiare sesso e quella città improvvisamente si era ammantata per me di una luce magica. Mia nonna, intuiti i miei tormenti, a un Carnevale mi ha comprato un costume da ufficiale». Alle medie però qualcosa inizia a cambiare per Susanna, nutrendo i primi interessi e immaginando una vita diversa da quella della caserma, fino a prima unico pensiero fisso per il futuro: «Avrei fatto la scienziata, non c’era dubbio. E poi, al primo anno delle superiori, ho fatto una scoperta incredibile: esistevano i maschi e sembravano essere estremamente interessanti. Potenza e meraviglia degli ormoni!». A quel punto Susanna Tamaro si chiese se anche i maschi sarebbero stati interessati a lei che proprio fisicamente e all’apparenza era molto poco simile alle compagne più prosperose e femminili: «Un giorno in cui volli indossare una gonna per cercare di raggiungere il loro livello, lo ricordo come uno dei più spaventosi della mia vita. Ma poi pensai che forse era meglio restare com’ero, con jeans e maglietta, perché se qualcuno si fosse innamorato di me sarebbe stato colpito più dal mio interno che dalla mia carrozzeria». Così di fatto avvenne e in quel modo, racconta ancora l’autrice, le «atroci sofferenze della disforia di genere» si sono dissolte «come un fantasma alle prime luci dell’alba».

“SERVE DARE TEMPO AI RAGAZZI. COSA SAREBBE SUCCESSO SE FOSSI STATA PRESA DAI FALCHI DEL GENDER?”

Il passaggio della testimonianza è utile poi a capire cosa sull’oggi possiamo trattenere di una storia così personale eppure non affatto dissimile a quella di tante centinaia di ragazzi che si ritrovano “addosso” una disforia di genere che complica non poco i “piani” per la propria crescita personale. Susanna Tamaro si chiede con schiettezza che cosa sarebbe stato di lei se a 8-9 anni fosse stata presa «sotto l’ala protettiva dei falchi del gender? Mi avrebbero convinto della liceità delle mie inquietudini e, come nella più cupa delle fiabe, con il sorriso suadente di chi in realtà è un orco, mi avrebbero rassicurato, avrebbero saputo come risolvere i miei problemi e io avrei baciato con riconoscenza le mani di quegli angeli che promettevano di dissolvere il dardo infuocato che da sempre feriva il mio cuore».

Pillole anti-pubertà, psicologi e “ideologia gender” avrebbero permesso alla piccola Susanna di raggiungere il suo sogno d’allora, ovvero diventare maschio? «Sono fermamente convinta che la storia giudicherà i cambiamenti di sesso imposti ai bambini e ai ragazzi come un crimine». Per la Tamaro si tratta di un crimine particolare, ideologico, in quanto se quella bambina sognando di essere un ufficiale, avesse accettato di fare l’operazione (come spingono oggi centinaia di esperti e “competenti” in materia), «non mi sarei trasformata in un maschio ma in un essere bisognoso di cure a vita». La natura, la realtà, è dannatamente più forte della cultura o dei desideri di trasformarla in quello che vogliamo: «avrei dovuto ingurgitare ormoni fino alla fine dei miei giorni perché tutto l’imponente apparato biochimico del mio corpo avrebbe continuato a gridare solo una cosa: sono una femmina!».

Susanna Tamaro non si oppone a chi da adulto decide in propria coscienza di modificare il proprio corpo con l’operazione, ognuno è padrone effettivo della propria personalità e corporalità: il problema è quando si decide di operare su persone in crescita, devastando la vita di bimbi e adolescenti, «nel silenzio di una società sempre più pavida e confusa, capace solo di affidarsi agli esperti e ad una scienza che tutto ha a cuore, tranne il bene della persona», scrive ancora l’autrice sul “Corriere”. Secondo Tamaro è drammatico e indecente pensare di bloccare con la triptorelina lo sviluppo di un bambino nell’attesa che decida cosa voglia essere: ai ragazzi serve dare del tempo, serve un’educazione e una cultura che li sappia accogliere, accompagnare, amare fino in fondo, rispettando la loro libertà senza inculcargli ideologie scientiste e parziali. Come chiosa la stessa Susanna Tamaro, a qualsiasi persona di buon senso «appare subito chiaro che la disforia di genere nell’infanzia è sintomo di qualche altro profondo disagio, primo tra tutti, forse, quello di vivere in un mondo che ti ripete continuamente che la vita non ha senso, che noi siamo soltanto figli del nulla e del caso e che non esiste alcuna realtà al di là di quella forgiata dai nostri desideri».