LE OLIMPIADI DELL’IDEOLOGIA E DELLA DERIVA MORALISTICA: L’AFFONDO ANTI-WOKE DI SUSANNA TAMARO

Nascosto per bene nelle pagine interne (e senza nemmeno un richiamo in prima pagina) il “Corriere della Sera” ha affidato un commento sulle Olimpiadi Parigi 2024 alla scrittrice Susanna Tamaro, e il motivo è presto che spiegato già dal titolo (che non rende appieno la profondità dell’editoriale): «Olimpiadi, la cerimonia è una offensiva e ideologica banalità». Ma l’affondo di Tamaro è tutt’altro che solo legato alla polemica esplosa in questi giorni sulla cerimonia di apertura, in particolare sulla scenetta LGBTQ nella rappresentazione presunta sull’Ultima Cena di Gesù: secondo la scrittrice triestina queste Olimpiadi non sono altro che il segno di una profonda deriva moralistica che coinvolge larga parte dell’Occidente (non a caso identificato come sempre più dominato dalla cultura woke).



«La rappresentazione fintamente audace di Parigi è il sigillo di una società che ha totalmente perso la concezione del bene e del male e si è smarrita in una pericolosa deriva moralistica»: la volontà di “provocare”, subito ritratta in una imbarazzante retromarcia dell’ideatore della cerimonia di Parigi 2024 (tal Thomas Jolly), «non volevo offendere, solo uno spettacolo all’insegna della benevolenza, delle generosità e dell’inclusione». Ebbene, per Susanna Tamaro il fatto che sia stato di fatto abolito il “male” dal dibattito culturale ed educativo, non fa altro che indebolire – se non proprio eliminare – la necessaria forza per contrastarlo. Con una formula che riportiamo perché estremamente efficace, la scrittrice specifica che nell’Occidente di oggi «Bastano i buoni i sentimenti – l’inclusione, la tolleranza, la benevolenza appunto – ma i buoni sentimenti senza una radice profonda nel bene sono una realtà evanescente».



TAMARO: “ALLARME LAICITÀ, LA NUOVA RELIGIONE DELL’INCLUSIONE METTE TUTTO A RISCHIO”

Non è tanto l’irrisione del cristianesimo, come andato in scena nella rappresentazione che “ricorda” l’Ultima Cena, con la protagonista attivista con tanto di aureola che nulla c’azzecca con le ritualità pagane rivendicate da Jolly: per Susanna Tamaro (e non solo lei) la scristianizzazione dell’Occidente è sempre più un pericolo per l’intera concezione di laicità e religione. Innalzare il “buonismo” come autentico e unico valore, sebbene lastricato di potenziali buone intenzioni di “unire” realtà e culture diverse, ha avuto l’effetto di una «tirannia coercitiva sempre più incalzante».



Nel suo editoriale sul “Corriere” Tamaro spiega come il parto «abominevole» del linguaggio politicamente corretto e “fluido” è proprio il frutto esatto di tale trasformazione: «Dobbiamo essere tolleranti, dobbiamo essere inclusivi, dobbiamo adeguarci alla fluidità per non essere estromessi dal consesso della nuova civiltà». In questo modo però bene e male rischiano l’estinzione come concetti incarnati nella realtà, e così che si arriva a «celebrare il funerale dell’etica», sostituita da una «informe marea pagana».

Al di là del fatto che è proprio grazie alla concezione laica (e non moralista) di libertà offerta dal cristianesimo al pensiero europeo che in Occidente si è arrivati, con lentezza e con ostacoli grossi nel passato, a poter amare chi si vuol e a credere qualunque cose senza avere alcuna persecuzione; per Susanna Tamaro il rischio che si porta dietro questo nuovo idolo dell’inclusione rischia di spazzare via per sempre il sano concetto di laicità. «L’inclusione è in tutto e per tutto una nuova religione, con i suoi riti, i suoi diktat e le sue squadre di sacerdoti moralisti in grado di colpire e distruggere tutti coloro che non si adeguano», scrive ancora l’intellettuale triestina. Una deriva che sostituisce il dialogo tra cuore, mente e anima, con la mera distinzione tra ciò che si ha o non si ha tra le gambe: per Susanna Tamaro il rischio è altissimo in quanto a breve, di questo passo, si potrà arrivare a essere convinti di essere un animale, un oggetto, un albero o quant’altro, «Chi può negarmi il diritto di essere cane? La realtà c’est moi», si chiede provocatoriamente la scrittrice cogliendo nel segno tutta la fragilità di una società come quella rappresentata alle Olimpiadi francesi.