“Sapevamo di essere seduti nello stesso punto”, come bambini innocenti che, in “un’affinità silenziosa”, fanno lo stesso gioco, condividono piccole cose, dal guardare un prato, al mangiare seduti sotto un ippocastano, al trascorrere del tempo con gli amici.
In un auditorium gremito di Brescia, Susanna Tamaro spiega così il segreto della sua amicizia con Pierluigi Cappello, talentuoso poeta friulano scomparso nell’ottobre del 2017, a cui la scrittrice di Va dove ti porta il cuore ha dedicato il suo ultimo libro, Il tuo sguardo illumina il mondo. Sono trascorsi 25 anni dal bestseller che l’ha resa famosa anche all’estero e il tempo passato si mostra nei picchi di profondità e di poesia di questo memoir, o meglio, di questo dialogo postumo, come ha detto a IlSussidiario.net, perché “Pierluigi c’è in questa vita”.
Si erano conosciuti dopo che lei aveva visto una sua foto su un giornale: aeroplanino in mano e sguardo luminoso. “Vederti e sentirmi meno sola fu un tutt’uno”, scrive nel libro. Ci aveva messo un paio d’anni prima di decidersi a contattarlo, ma poi non si erano più persi di vista.
Durante l’incontro della X edizione del Mese letterario, organizzato dalla Fondazione San Benedetto di Brescia, i frutti di questa amicizia si sono mostrati come una cosa tutt’altro che piccola. Anzi, sono apparsi come un salto di vita deflagrante perché l’amicizia, come la buona letteratura, crea, muove le persone, genera. “Lo sguardo rinasce nello sguardo”, diceva Cappello in una sua poesia.
Tante cose accomunavano Susanna Tamaro e Pierluigi Cappello, una era senz’altro una ferita profonda, più visibile per lui, su una sedia a rotelle dall’età di sedici anni per un incidente stradale; un’infanzia di grande sofferenza e diagnosi tardiva di autismo per lei. “Senza un corpo a corpo col dolore, con l’oscurità, con la disperazione non nasce l’arte” ha detto la Tamaro durante la serata, “è questo che ha spinto sia me che Pierluigi verso la parola, non quella che è mistificazione, ma che è verità, lampi di verità più profonda del reale”. Insieme, come bambini, si sono lasciati colpire dalla vita, si sono aiutati a vedere la sua forza.
Di passione per la vita, ma anche di fede e di speranza cristiana abbiamo parlato con Susanna Tamaro.
Che cosa ha più a cuore che comunichino i suoi scritti?
L’amore per la vita. Tutti i miei libri sono nati da un grande amore, da una grande passione per la vita, piena di domande, di dubbi, anche di cose difficili. Però al fondo c’è sempre un grande amore per la vita. Capisco che di questi tempi è un sentimento abbastanza carente e dunque vorrei che le persone amassero di più la vita attraverso i miei libri.
Eppure lei ha avuto una vita molto difficile, particolarmente segnata dal dolore…
Non lo avrei mai detto infatti da bambina. È una cosa che ho maturato con gli anni. All’inizio è stata davvero difficile, però poi le difficoltà vengono per diventare ancora più grandi.
Cosa ha fatto maturare l’amore per la vita?
Credo la capacità di guardare sempre la verità delle cose, senza raccontarsi bugie. Spesso tendiamo a farlo, spesso ci diciamo delle bugie. Io invece sono stata anche molto crudele con me stessa. Ho sempre visto le mie carenze, insieme a quello che mi ha aiutato a crescere.
Non si è sottratta ai dolori della vita, ma guardandoli fino in fondo cosa ha scoperto?
Che avevo delle grandi risorse interiori, che ero capace anche di dare molto, di essere ricca interiormente. Sono entrata in rapporto con il mistero della vita, dell’amore, della morte, tutte cose che danno senso alla vita di ogni uomo. Se hai il coraggio di affrontarle, di andare fino in fondo.
E la scrittura che ruolo ha giocato?
Un ruolo fondamentale, che mi ha permesso di andare avanti in questo cammino, di guardarsi dentro e tirare fuori questo valore. Scrivere è come uno specchio. Senza la scrittura avrei avuto molti problemi. Io soffro di una sindrome autistica e quindi sarebbe stato davvero difficile. La scrittura mi ha permesso uno scambio con la realtà, anche se duro e doloroso. Così come il rapporto con la natura, in cui trovo riposo.
Ha affermato che nei suoi libri lei parla sempre di redenzione. Anche in quest’ultimo, in cui il personaggio è lei e parla con un caro amico che non c’è più? Dov’è in questo libro la redenzione?
Sì, anche questo è un libro di redenzione. Tutte le vite dovrebbero essere un cammino di redenzione in cui capire le proprie negatività e vincerle. Io credo che la vita non finisca qui. Intuitivamente sappiamo che le grandi relazioni non finiscono qua, c’è una vita che va oltre. Io penso che Pierluigi c’è in questa vita e un giorno anch’io sarò lontano da questa vita.
Più che un dialogo sembra una nuova offerta di vita fatta a lui…
Ho scritto il libro dopo la sua morte. È un dialogo postumo. Tornare ad accettare di vivere è come la grande offerta fatta a lui, in onore alla nostra amicizia. Poi volevo che le sue poesie fossero più conosciute, era un modo per far conoscere questo grande poeta.
Cosa nutre la sua fede?
La speranza. La speranza è il nutrimento di ogni fede attraverso il nutrimento della vita. La speranza che le cose hanno sempre un senso profondo, nascosto, che a volte non riusciamo a vedere. Con gli anni invecchiando si scopre che in realtà ogni cosa ha un senso. Quando si è giovani è molto difficile accorgersi, ma invecchiando accade.
La sua è una fede cristiana?
Sì, io credo in una redenzione cristiana. Quello che nutre la mia fede è la certezza che la morte è vinta, Cristo è risorto. Questa è la cosa che dovrebbe illuminare tutti. Non c’entra se uno è buono o no. Queste sono cavolate. Cristo ci dice che la condizione della materia è una condizione temporanea. C’è un’altra condizione della materia che è la risurrezione a cui tutti andremo incontro dopo la morte. Questa è la cosa più interessante!
(Silvia Becciu)