«Servono chiese belle per nutrire la fede»: le parole di Susanna Tamaro oggi sul Corriere della Sera, una riflessione sul saggio di Chirstiano Sacha Fornaciari “Disegnare il sacro”, sono assai più pregne di significato dell’appartante “snobismo” contro la cultura contemporanea anche in arte sacra. «Siamo schiacciati dal nostro destino, non riusciamo a vedere nessuna luce di speranza all’orizzonte», scrive la Tamaro, identificando questo “peso ingombrante” nella sostanziale mancanza di una dimensione trascendente.



«Siamo figli del Caso e schiavi del Tempo, e questa condizione ci costringe ad assumere sulle nostre spalle tutto il peso del mondo. Siamo noi responsabili di ogni cosa, tutto è nelle nostre mani, e non potrebbe essere diversamente dato che la nostra esistenza, così come la vediamo, non è altro che un susseguirsi di casuali colpi di fortuna», sottolinea ancora la scrittrice citando un famoso episodio della conversione di Edith Stein, la filosofa ebrea e convertita cattolica, martire nei campi di concentramento nazisti. «Entrò per caso in una piccola chiesa e venne folgorata dalla visione di un’anziana donna che pregava in solitudine con le borse della spesa accanto. Lì intravide un’invisibile confine: il confine del Fanum, del Luogo Sacro, un luogo sospeso nel tempo, dove era possibile raccogliersi in un qualsiasi giorno feriale ed entrare in un intimo dialogo con l’eterno»: in questo senso, per quel luogo del sacro occorre un anelito di “scoperta” nelle proprie viscere ‘consentito’ più facilmente con l’imbattersi del bello.



LA BELLEZZA E IL MISTERO

Un parallelo tra bello e sacro che prosegue praticamente senza sosta fino alla Seconda Guerra Mondiale: e poi? Il declino Susanna Tamaro lo descrive così: «I cubici ecomostri, le astronavi, le vele cementizie, i campanili siderurgici che, come un malefico cancro, ormai popolano il nostro Paese umiliando, con la loro aggressiva bruttezza, non solo i credenti ma chiunque vi passi anche casualmente accanto, ci parlano della cecità spirituale dei progettisti e dell’ancora più grave cecità dei committenti». Racconta di quante volte in questi anni di viaggi in Italia si è imbattuta nella «pletora di orribili chiese moderne edificate nel dopoguerra, mi è capitato di domandarmi: sarebbe mai possibile che qualcuno si convertisse qui dentro o, per lo meno, che venisse sfiorato dall’idea che, dietro il mondo materiale, ne esista un altro la cui concretezza si manifesta nel mistero della bellezza?».



Per la Tamaro, Dio ti ama anche laddove il contesto non sia “perfetto”, anzi tutt’altro: ti ama se canti male, «anche se celebri il divino in un’asettica sala da conferenze, anche se lo spazio in cui ti rechi alla ricerca di un sollievo per la tua anima ti parla solo di opprimente e sciatta bruttezza». Insomma, conclude Susanna Tamaro, che Dio ti ama «comunque è teologicamente vero, ma è altrettanto vero che la radice del sacro, per consentire di crescere in questa dimensione, ha una necessità estrema di bellezza, perché solo la bellezza, con le sue profonde vibrazioni, fa risuonare in noi la parte più profonda del mistero». Servono chiese belle non per motivi meramente estetici ma per “nutrire la fede in Dio e nel mistero”, per sgravare dalle spalle dell’uomo quel peso ingombrante che è l’assenza (apparente) del rapporto con il trascendente.