Abbiamo già avuto occasione di commentare la Relazione di monitoraggio del Reddito di cittadinanza (Rdc) e della Pensione di cittadinanza (Pdc) a cura del Comitato scientifico presieduto da Natale Forlani, pubblicato nei giorni scorsi. La relazione affronta molti temi riguardanti il numero dei beneficiari nella varie fasi del periodo di vigenza (1° maggio 2019-31 dicembre 2023), gli effetti del Reddito con riferimento ai casi di povertà assoluta per le diverse professioni, gruppi sociali, ambiti territoriali. In sintesi, hanno percepito il sussidio di integrazione al reddito nel periodo considerato, per almeno una mensilità, circa 2,4 milioni di nuclei familiari e 5,3 milioni di persone.



Il numero medio delle mensilità percepite è di 26,4 per il Rdc e di 32 per la Pdc. Circa un terzo dei beneficiari ha percepito il sussidio per l’intero periodo. L’importo della spesa pubblica impegnata è superiore ai 34 miliardi di euro. Una prima criticità chiama in causa, nelle indagini effettuate dall’Istat, la quota delle famiglie in condizioni di povertà assoluta che hanno beneficiato delle prestazioni di sostegno al reddito. Tale quota non si giustappone alla platea della povertà assoluta, ma raggiunge il massimo del 38% nel corso del 2021 (32,3% nel 2022), per una quota equivalente al 58,7% dei beneficiari delle misure (53,4% nel 2022). Queste stime – fa notare la relazione – evidenziano la mancata partecipazione di un rilevante numero di famiglie povere, che deriva in parte dai criteri normativi per la selezione dei potenziali beneficiari e di una quota dei percettori (il 46,6% nel 2022), che non riscontrano le condizioni di povertà sulla base dei criteri utilizzati dall’Istat. Tra i motivi, probabilmente, le caratteristiche delle persone che risultano occupate negli ambiti professionali e nei settori che registrano tassi di irregolarità superiori di tre volte alla media e con rapporti di lavoro di breve durata.



La relazione sottolinea che l’efficacia del Reddito di cittadinanza sulla platea dei bassi redditi è risultata più elevata nel corso della pandemia Covid (2020-2021) e ha consentito la fuoriuscita di circa 450 mila famiglie dalla condizione di povertà (circa 300mila nel 2022). Metà della spesa erogata nel biennio, circa 8,3 miliardi di euro, ha contribuito a ridurre dell’0,8% l’indice delle disuguaglianze e dell’1,8% il rischio di povertà, insieme alle altre misure erogate dallo Stato a favore dei bassi redditi, in particolare dell’Assegno unico universale



Di particolare interesse – anche tenendo conto del dibattito aperto su questo tema – i dati relativi agli occupati che vivono in condizioni di povertà assoluta Sebbene l’incidenza della povertà assoluta sia particolarmente elevata tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di lavoro, le stime Istat mostrano come la povertà con il passare del tempo coinvolga sempre più anche famiglie con occupati. Nel 2022, poco più di una famiglia con persona di riferimento in cerca di lavoro su cinque era in povertà assoluta (20,2%), mentre la quota di famiglie povere tra le famiglie con persona di riferimento occupata ha raggiunto il 7,5% nel 2022, in crescita dal 6,8% del 2021. Nel complesso, gli occupati rappresentano il 30,5% degli individui in povertà assoluta.

Quanto al lavoro e ai beneficiari delle misure di sostegno al reddito (2018-2020), la relazione si sofferma al confronto tra il Rdc e il precedente strumento di sostegno del reddito (Rei). Nel 2018, secondo stime Istat, i percettori del Reddito di inclusione presentavano una condizione di disagio lavorativo superiore rispetto alla coorte dei futuri beneficiari delle misure di sostegno al reddito, Rei, Rdc e Rem (Red), i quali sono comunque caratterizzati da condizioni lavorative fortemente critiche. Tra i percettori Reu nel 2018 il tasso di occupazione non arriva infatti al 20% e il numero dei disoccupati superava quello degli occupati; inoltre, disoccupati e inattivi rappresentavano più della metà dei beneficiari con un’incidenza tre volte superiore rispetto alla media della popolazione.

I percettori di misure Red dal 2019 presentavano invece un tasso di occupazione che arrivava al 26,5% e un numero di occupati superiori a quello dei disoccupati. Appena migliore era la condizione lavorativa di coloro che avrebbero beneficiato delle misure dal 2020 con un tasso occupazione del 36%, un tasso di attività superiore al 50% e un’incidenza di disoccupati e inattivi inferiore al 40%. Fra questi, i futuri percettori del Rem si distinguevano per una migliore condizione lavorativa, con un tasso di occupazione del 38,1% e un numero di disoccupati che era pari alla metà rispetto a quello degli occupati. Erano quindi per la stragrande maggioranza lavoratori con bassa qualificazione, occupati in grande prevalenza con rapporti di lavoro a termine e/o a orario parziale, che operavano nei settori di attività caratterizzati da basse retribuzioni e da quote di lavoro sommerso che risultavano superiori di tre volte rispetto al dato medio relativo al complesso delle attività economiche.

Il settore della ristorazione, dove sono molto specializzati i beneficiari Red di sesso maschile, ha un tasso di irregolarità stimato al 16% (più del doppio della media); per le donne, la loro notevole concentrazione nei servizi domestici le associa a uno dei settori a più alta intensità di lavoro non regolare (oltre il 30%). Nel 2019, gran parte dei beneficiari del Rei (circa 960mila in età attiva) hanno continuato a percepire i sussidi sotto forma di Rei o Rdc. La loro posizione sul mercato del lavoro in quell’anno ha accentuato le evidenti criticità riscontrate nel 2018: si riduceva la componente attiva e aumentavano gli inattivi in senso stretto. Gli 1,2 milioni di individui che accedevano per la prima volta alle misure Red nel 2019 rivelavano una condizione lavorativa un po’ meno critica, anche se in peggioramento.

Misurata nel 2019, la condizione lavorativa di quanti accederanno invece alle misure Red solo nel 2020 (circa 1,1 milioni), sebbene meno sfavorevole rispetto alle altre coorti, manifestava segni di peggioramento: diminuivano – è scritto nella relazione di monitoraggio – sia il tasso di attività, sia quello di occupazione. La componente maschile dei futuri beneficiari Red nel 2020 vedeva diminuire rispetto al 2018 il tasso di occupazione e aumentare l’incidenza dei disoccupati, con un tasso di attività nel complesso stabile. Per le donne della stessa coorte, invece, alla discesa del tasso di occupazione corrispondeva un incremento significativo delle persone inattive in senso stretto: il tasso di attività era una ventina di punti percentuali al di sotto di quello osservato per la componente maschile.

L’evoluzione della condizione lavorativa nel 2020 vedeva per la platea dei nuovi beneficiari delle misure Red un ulteriore netto peggioramento. Il tasso di occupazione perde oltre cinque punti percentuali rispetto all’anno precedente, l’incidenza dei disoccupati guadagna quasi due punti, cresce di tre punti percentuali anche il peso degli inattivi grigi e il tasso di attività finisce al di sotto del 50%. I nuovi beneficiari, a ben vedere, apparivano tuttavia in una condizione senz’altro meno svantaggiata rispetto ai 2 milioni circa di beneficiari Red del 2020 che già percepivano i sussidi dagli anni precedenti. Per quest’ultimi il tasso di occupazione superava a stento il 20%. In particolare, solo poco più di un terzo dei percettori del Rei nel 2018 rientrava nella popolazione attiva e la situazione era di poco migliore per i beneficiari Red nel 2019.

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