Gli equilibri finanziari che costituiscono la cornice della Legge di bilancio 2021 sono destinati a essere ulteriormente modificati nel corso dei primi mesi del prossimo anno. Questa consapevolezza è già stata espressa dal ministro dell’Economia Gualtieri, l’esponente per eccellenza della navigazione a vista che caratterizza l’azione del Governo Conte, dettata dall’oggettiva incertezza sui tempi del superamento dell’emergenza Covid, e dagli equilibri precari interni alla maggioranza che sostiene il Governo. E che impongono una costante ricerca di compromessi tra le diverse istanze avanzate dalle singole forze politiche. 



L’esplosione della “Bonus economy”, per citare la brillante definizione utilizzata dal Censis per commentare l’abnorme mole dei provvedimenti tampone, i 74 varati con i precedenti decreti (destinati ad aumentare notevolmente con l’approvazione dei 256 emendamenti alla proposta della Legge di bilancio) rappresentati da: sostegni al reddito, bonus e incentivi di varia natura, garanzie per l’accesso al credito, rinvii o annullamenti delle scadenze dei pagamenti fiscali. A loro volta suddivisi per settori, tipologie di impresa e di lavoratori, destinati a generare effetti di trascinamento oltre la gestione dell’emergenza.



Intervenire per sostenere le filiere produttive colpite dai provvedimenti di distanziamento anti-Covid è giusto e necessario. L’hanno fatto tutti i Paesi sviluppati, in molti casi mobilitando risorse maggiori rispetto al nostro. Ma senza i livelli di dispersione dei provvedimenti, e di improvvisazione gestionale messi in campo dal nostro Governo, e che lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio, organo deputato a valutare l’impatto dei provvedimenti legislativi, non ha esitato nel definire come “un coacervo di misure senza disegno“. 

L’incremento del numero dei provvedimenti ha comportato un fabbisogno ancora superiore di provvedimenti attuativi, di circolari interpretative, di messa a punto della macchina amministrativa per selezionare i beneficiari e controllare gli esiti. Il tutto in coincidenza di un’improvvisata attivazione dello smart working per una parte rilevante del personale della Pubblica amministrazione, e di un allungamento dei tempi di rispondenza nella gestione delle pratiche e delle procedure. Molte delle “una tantum” per i lavoratori autonomi, i parasubordinati e gli stagionali sono state erogate a prescindere da una ragionevole verifica delle perdite di reddito subite. Le erogazioni per il reddito di emergenza, analogamente a quanto fatto per il reddito di cittadinanza, sono state autorizzate sulla base delle autocertificazioni degli interessati. Ma questo complesso di interventi – le garanzie per l’accesso a credito delle imprese, la sospensione dei pagamenti fiscali, il blocco dei licenziamenti – hanno comportato un notevole incremento dei livelli di indebitamento pubblico e privato, che non possono essere protratti all’infinito. E nel 2021 i nodi sono destinati a venire al pettine.



La navigazione a vista, protesa a difendere a oltranza le strutture produttive e l’occupazione esistenti, comporta tre inevitabili conseguenze. Una prima relazionata all’illusione che la natura, e i costi, di questi interventi possano viaggiare a oltranza in attesa di ulteriori provvedimenti finalizzati a favorire la ripresa economica. In particolare, quelli messi in campo per l’utilizzo del Recovery fund. Ma nel frattempo i costi di questi provvedimenti stanno comportando per la parte pubblica una sottrazione di risorse alle riforme, in particolare quelle del fisco e dei sostegni alle famiglie, che dovrebbero offrire un orizzonte di medio periodo per le scelte delle imprese e delle persone. Per quella privata, la crescita del potenziale dei crediti non esigibili erogati alle imprese che erano già in difficoltà nel periodo precedente il Covid è destinata a compromettere gli equilibri del sistema bancario e l’erogazione del credito verso le imprese sane. Questo rischio è stato palesato proprio da quegli economisti, a partire dall’ex Presidente della Bce Mario Draghi, che in tempi non sospetti si erano spesi per sostenere la necessità di aumentare il debito pubblico per difendere gli apparati produttivi dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria, e che hanno sollecitato un cambio di marcia degli interventi pubblici rivolto a privilegiare gli impieghi produttivi e politiche del lavoro a sostegno del reimpiego delle risorse umane. 

La seconda conseguenza è rappresentata dalla sopravvalutazione dei potenziali effetti delle risorse messe a disposizione dall’Ue. Per decisione del Governo, 80 miliardi circa del Recovery fund verranno destinati di fatto a finanziare interventi già previsti nella programmazione precedente, tenendo conto che i finanziamenti europei comportano un costo inferiore a quelli reperiti sul mercato con l’emissione di nuovi bond . Una scelta del tutto comprensibile, ma che riduce in modo significativo l’importo dei potenziali nuovi investimenti. 

L’aumento del debito che sottrae risorse al sistema produttivo, e l’esigenza di accelerare l’uso di quelle disponibili, comporta una terza conseguenza: quella di aggirare gli ostacoli burocratici, con l’ausilio di norme straordinarie, le semplificazioni, i commissari, le task force, con l’adozione di ulteriori normative che riescono a complicare ulteriormente i procedimenti amministrativi ordinari. Nelle intenzioni del Governo il settore delle costruzioni, nella doppia componente degli investimenti pubblici infrastrutturali e delle ristrutturazioni abitative con il superbonus del 110% di rimborso sulle spese, dovrebbe rappresentare il perno della ripresa economica. Ma nel frattempo nessuno dei commissari previsti per accelerare le 19 opere infrastrutturali prioritarie, a distanza di 6 mesi dal provvedimento, è stato nominato. L’assurda complessità dei requisiti e degli adempimenti previsti per ottenere il superbonus del 110% per le ristrutturazioni delle abitazioni, allo stato attuale, ha comportato solo un ritardo della presentazione e dell’approvazione dei nuovi progetti.

Il nostro Governo sarà chiamato ad assumere nei primi mesi del 2021 impegni solenni per l’utilizzo delle nuove risorse europee, vincolanti per obiettivi e responsabilità che vanno oltre il periodo temporale della sua vigenza e gli attori coinvolti nella loro attuazione. Il nostro Paese è privo di una governance adeguata per gestire questi processi, ed è praticamente impossibile che questa possa scaturire dall’ennesimo compromesso interno alla maggioranza. Un tema che meriterebbe un intervento autorevole del presidente della Repubblica.