I sistemi di welfare nei Paesi europei dovranno fare i conti i prossimi decenni con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della speranza di vita che comporterà una crescita delle spese di cura e di assistenza a carico dello Stato. I debiti pubblici delle nazioni sono già aumentati per effetto dei sostegni offerti al sistema finanziario durante la crisi dei sub-prime e per le misure di sostegno a famiglie e imprese per la crisi pandemica: non potranno espandersi ulteriormente nel futuro a sostegno del sociale. Non è nemmeno pensabile un innalzamento della pressione fiscale se vogliamo mantenere un sistema industriale sano e competitivo e una minima solidarietà intergenerazionale.
Il welfare europeo, nelle sue diverse realizzazioni, ha un’impronta universalistica così che anche i meno abbienti possono accedere ai servizi sanitari, educativi e assistenziali di uguale qualità; cosa che non accade nel sistema americano. L’Europa per promuovere il benessere dei suoi popoli ha varato il pilastro dei diritti sociali per combattere l’esclusione sociale e sostenere la coesione economica, sociale, territoriale e intergenerazionale. La protezione sociale europea deriva dalla concezione cristiana della persona, unica e irripetibile, che ha una dignità che va salvaguardata in qualsiasi condizioni essa si trovi.
In questo scenario i due poli dello Stato e del mercato sono insufficienti a sostenere una società coesa e solidale, perché nelle difficoltà attuali rischiano di frammentarla e di moltiplicare le disuguaglianze privando una parte della popolazione dei servizi essenziali. Tali servizi potrebbero ancora mantenersi nella forma ma attraverso la richiesta di una sempre maggior partecipazione alla spesa anche per i più deboli. La mano invisibile del mercato, come pensava un certo liberismo, non offre più possibilità a tutti di accrescere il proprio benessere.
Le statistiche internazionali ci dicono che l’82% della ricchezza prodotta nel 2016 è andata all’1% dei più ricchi, mentre le fasce più basse non hanno visto alcuna crescita, inoltre dopo la pandemia da Covid-19 la ricchezza dei miliardari è aumentata e l’1% dei più ricchi detiene più ricchezza di tutto il resto del mondo. In altre parole, senza togliere nulla ai benefici effetti che la globalizzazione ha avuto nello sviluppo e nella riduzione della fame nei Paesi del Terzo mondo, la ricchezza tende sempre più a polarizzarsi sulle fasce più ricche della popolazione con il contributo delle ricorrenti crisi globali.
Questa polarizzazione della ricchezza dà risultati diversi nei Paesi europei rispetto a quelli anglosassoni: Italia, Germania e Francia non presentano un incremento delle disuguaglianze così marcato. Questa differenziazione fa supporre che le policy e i quadri istituzionali hanno la loro importanza per attutire questo processo. Nondimeno in Italia un quarto della popolazione è a rischio di povertà a causa delle crisi succedutesi.
Molti studi mostrano che non abbia senso contrapporre Stato sociale e crescita economica. E, anzi, che sia stato il primo spesso a promuovere la seconda. Un esempio per tutti è l’importanza di una scuola di qualità per permettere anche ai meno abbienti di innalzare la loro condizione sociale. Inoltre, una concezione liberale pura tende a neutralizzare la dimensione del capitale sociale, ossia “quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile”.
In questo contesto diventa essenziale la presenza virtuosa del Terzo settore e dei corpi intermedi, come si è dimostrato durante la pandemia, che sono capaci, se coinvolti e riconosciuto il loro ruolo pubblico, di integrarsi/sostituirsi allo Stato nell’erogazione dei diversi servizi essenziali quasi sempre a costi inferiori e a offrire prestazioni personalizzate basate sulla relazione. Essi, inoltre, costruiscono di continuo il capitale sociale attraverso l’attività partecipativa e di legame fra le persone.
La sussidiarietà diventa la chiave di volta per sostenere un sistema sociale universalistico dove il primato e la dignità della persona possano trovare una risposta al di là del ceto sociale. «Si tratta di un modello cooperativo, in cui istituzioni e corpi intermedi collaborano sistematicamente per definire, progettare e attuare i processi di risposta al bisogno e di generazione di bene comune, integrandosi e collaborando. Una cultura della sussidiarietà è necessaria per un nuovo modello di crescita sostenibile, in ragione della complessità delle società moderne che richiedono una capacità di adattamento continuo, che non può essere affidato esclusivamente allo Stato o al mercato».
L’ultima ricerca su “Sussidiarietà e…sviluppo sociale” della Fondazione per la sussidiarietà ci mostra attraverso esempi concreti, rilevazioni statiche e nell’articolazione dei suoi molteplici aspetti come vincere questa sfida.
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