Questa risposta arriva in ritardo rispetto alla causa immediata che ha provocato la lettera, cioè la manifestazione del 10 ottobre contro la riforma della scuola, ma il problema trascende decisamente questa data, come traspare dalla lettera stessa.
“Ciao! Sono una studentessa di Aosta e faccio il liceo scientifico. Da alcuni giorni a scuola sta passando un volantino di una manifestazione che si terrà il 10 ottobre per protestare contro la riforma… Io ho provato a leggere tutto il decreto ma, sinceramente, non mi è stato molto chiaro. Senza contare poi che, avendo chiesto ai miei compagni di scuola che attaccavano i volantini perchè loro sarebbero andati alla manifestazione, mi è stato risposto che la riforma comprende tagli enormi alle scuole (mi hanno detto che parte andrebbero al ministero della Difesa…), la “trasformazione” delle università in fondazioni e la creazione di classi per soli ragazzi portatori di handicap… Tutte queste cose sono state anche dette in assemblea di istituto… Ora, sapendo che i ragazzi che mi hanno detto questo sono fortemente di parte, ho preso la cosa molto con le pinze; però, poiché passo quotidianamente 6 ore a scuola, questa riforma non può non interessarmi! Soprattutto perchè è la terza in quattro anni di superiori e forse quella un po’ più contestata… Mi piacerebbe sentire un parere e giudizio da una persona un po’ più informata di me, giusto per non lasciarmi abbindolare dalle cose che mi vengono dette. Grazie mille! Cecilia”
Credo che tutti i ragazzi, al di là dell’essere andati o meno alla manifestazione ( chissà se poi Cecilia è andata?), siano pieni di dubbi: quelli reali sono su se stessi e su come questa riforma possa influenzare non solo le ore che passano a scuola, ma l’intera loro vita futura. Almeno se non hanno ancora perso ogni fiducia nell’utilità della scuola stessa. In questo senso, al di là della valutazione delle singole misure del decreto, ritengo che una critica generale possa essere fatta circa la mancanza di una preparazione adeguata della collettività interessata, in primo luogo studenti, insegnanti, famiglie. Non è questione, infatti, di dibattere in parlamento, ma di parlare innanzitutto con le persone, evitando che si ricada nello sterile scontro di schieramenti precostituiti, anche su un tema così importante, credendo di poter risolvere la questione con decreti da un lato e manifestazioni dall’altro.
Venendo ad alcuni punti specifici sollevati da Cecilia, vi è innanzitutto da chiarire che il decreto Gelmini non è una vera e propria riforma, anche se ormai la si chiama così e parrebbe più adeguato il termine “manutenzione” usato dallo stesso ministro. L’unico passaggio che può richiamare a un progetto di riforma è la reintroduzione del maestro unico che, peraltro, alla luce della già diffusa presenza del cosiddetto “maestro prevalente”, non sembrerebbe costituire uno stravolgimento quale, invece, qualcuno sostiene.
Per quanto riguarda i tagli, il decreto pare sostanzialmente in linea con quelli previsti dal precedente governo, nel “Quaderno bianco” Fioroni-Padoa Schioppa, che già prevedeva 20mila tagli. Forse i tuoi amici a scuola, e non solo loro, non se lo ricordano più. Questa coincidenza di intenti deriva dal fatto che non è più tollerabile considerare la scuola come una sorta di ammortizzatore sociale, come un enorme apparato burocratico, dove competenze, meriti e bisogni reali passano in seconda linea. Il risultato è che, come si è sentito dire più volte per la crisi finanziaria, la moneta cattiva scaccia quella buona, appiattendo tutto e mortificando quello che rimane il compito principale di una nazione: l’educazione.
A proposito di informazione corretta, la trasformazione delle università in fondazioni non è nel decreto Gelmini, ma nel piano economico triennale, ed è nella direzione dell’autonomia scolastica, auspicata anche per gli altri ordini di scuola, come prevede la proposta di legge Aprea. Così, invece di essere l’ultimo ganglio di un apparato burocratico-ministeriale, scuole e università potrebbero acquisire autonomia gestionale, nel rispetto delle linee generali emanate dallo Stato, e rispondere quindi meglio ai bisogni educativi di chi vi partecipa. L’obiezione che si trasformerebbero scuole e università in aziende suona fortemente ideologica, perché ciò potrebbe avvenire solo se fosse lo Stato a rinunciare ai propri doveri di indirizzo e poteri di controllo.
Certo, questa sarebbe una vera riforma, che andrebbe a intaccare a fondo lo strapotere di corporazioni e sindacati, ma anche questi dovrebbero ormai rendersi conto del loro dovere di ricercare il bene comune e non perseguire solo ristretti interessi particolari.
Quanto ai fondi che andrebbero alla Difesa, o le classi di soli portatori di handicap, fatti indicare i documenti o le dichiarazioni in cui queste proposte sono contenute; senza dubbio, anche in questo decreto vi saranno cose anche fortemente criticabili, altre discutibili e molte altre migliorabili, perciò non vi è nessun bisogno di ricorrere alla propaganda. Tanto più condannabile nei giovani, che alla verità dovrebbero tenere sopra ogni cosa.