Manifestazioni e scioperi nella scuola evidentemente pongono serie domande almeno a una parte degli studenti. Dopo la lettera di Cecilia, liceo scientifico di Aosta, questa settimana vorrei soffermarmi sull’articolo di Anna, liceo classico di Crema, e sui commenti pervenuti. Ecco alcuni stralci dell’articolo.

«Personalmente non posso proprio dire di ritrovarmi nella fantomatica “opinione generale” sbandierata ultimamente dai media che sembra trovare tutti d’accordo. […]
Ma a prescindere dal valore più o meno accertato di tali provvedimenti, è lo sciopero il modo migliore di affrontare una situazione di questo tipo? Davanti a una proposta non condivisa, da che mondo e mondo si risponde con una proposta migliore. Decidere di legalizzare la “bigiata” scolastica (da noi si dice così) non mi sembra il modo più ragionevole di risolvere la faccenda. […] Io non sciopero perchè sono sicura che, se condividessi le ragioni delle proteste, non sarebbe funzionale al mio obbiettivo, e non mi renderebbe minimamente appagata o soddisfatta che sia. Caso mai lo sciopero è funzionale alla popolarità dei sindacati, che con la riforma hanno tutto da perdere in quanto a numero di tesserati. Ma, in definitiva, questa non è altro che la modesta opinione di una diciassettenne».



Sembrerebbe normale che una diciassettenne non si ritrovi nella “opinione generale” e la voglia mettere in discussione, pur ammettendo che è solo un’opinione. Invece, ciò viene contestato, come nel commento di Chiara Benvegnù: «Il tuo è il modesto parere di una diciassettenne. Se non ti senti toccata dallo sfascio della scuola pubblica in quanto studentessa modello e benestante, beata te che non riesci a vedere al di là del tuo naso».  Commento di un’operaia metalmeccanica in cassa integrazione? No: «Io sono insegnante precaria e non ho idea di che lavoro farò il prossimo anno; [..] ..ogni anno una sede diversa -quando va bene, di solito ho almeno due sedi alla volta, perchè la cattedra intera è riservata a chi è più anziano di me in graduatoria».



Al di là dell’incipit, non penso che Chiara volesse offendere Anna, ma in questo commento credo vi sia tutta la tragedia della scuola italiana: la frustrazione di tanti, troppi insegnanti. Sono sicuro che molti commenti di questo tipo pervenuti a ilsussidiario.net non nascano da ideologia, ma da esperienze difficili, da sogni svaniti, da passioni spente o trasformate in rabbia, magari proprio verso questi ragazzi cui si voleva dedicare la vita.

Eppure Anna si limitava a definire lo sciopero per quello che è per molti dei suoi compagni, una “bigiata” legalizzata e a chiedere un diverso metodo di confronto. Né credo sia l’unica a identificare in questo sciopero un preciso interesse dei sindacati, troppo spesso schierati per uno statu quo a loro conveniente. 



Ma, scrive Mario Longo: «Lo sciopero vuol dire “rottura delle trattative”, questo perchè non si è voluto dialogare per riformare, ma prendere delle decisioni senza sentire/ascoltare chi nel mondo della scuola lavora da anni». È pensabile che si sarebbe potuto condurre la questione in un modo meno calato dall’alto, ma rimane forte la sensazione che lo sciopero fosse a “prescindere”, per le ragioni anzidette.

D’altro canto, non si può certo dire che analisi, discussioni, progetti sulla scuola siano mancati negli ultimi anni, anzi ci si lamenta delle troppe riforme: nonostante tutto questo dibattito, la scuola rimane un grande problema e ogni tentativo di cambiamento va incontro a più o meno violente resistenze. Come se nel nostro paese tutto potesse cambiare, e interi settori della nostra vita sono stati radicalmente modificati, ma non la scuola, non quel tipo di scuola sorto dalle ceneri del ‘68.

Comunque, l’allarme più grande è il livore che traspare da molti commenti, anche sulla questione delle scuole paritarie e della libertà di educazione, con una difesa dello Stato insolita per noi italiani, usi ad essere accusati e ad accusarci di scarso senso dello stesso. Altrettanto perplessi lasciano quei commenti che sembrano sottintendere che la scuola è una roba esclusiva degli insegnanti e gli studenti come Cecilia e Anna, o le famiglie, debbano solo tacere e pagare. Forse mi illudo, ma sono tuttavia convinto che la maggioranza di chi è nella scuola sia su posizioni molto più costruttive, qualunque opinione abbia della riforma Gelmini.

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