Gli interessanti articoli di Tarantini e Giannino sulla crisi finanziaria, l’intervento dello Stato e la necessità di ripristinare la fiducia, hanno provocato molti commenti, che hanno in comune un elemento un po’ trascurato nelle analisi di questi giorni. 

Cominciamo da Maurizio Rampinelli: «…hanno ragione Graziano Tarantini e Oscar Giannino e tanti altri …a dire che lo Stato non è un buon manager o imprenditore (Alitalia docet), ma perchè assieme allo Stato non si chiede di farsi da parte anche al management di quelle banche che hanno fatto un po’ male i conti? E’ troppo facile, dopo che lo Stato ha salvato situazioni “difficili” che siano sempre “lor signori” che quelle stesse situazioni hanno contribuito a creare, a risalire sulla plancia di comando (sempre Alitalia docet: quanti manager che hanno contribuito ad affossare Alitalia hanno preso buonuscite da capogiro invece che pedate nel “di dietro” e oggi magari sono ancora a dirigere altre “imprese” statali e non)!»



Credo che sia una posizione condivisa dalla maggioranza degli italiani: è probabile che lo Stato debba intervenire, anche se questo costerà a tutti, è altrettanto probabile che lo Stato debba uscire al più presto, per evitare che continui a costare a tutti, ma paghi anche chi è responsabile dello sfascio. Posizione ragionevole, punto di partenza di ogni discorso sui sistemi e sulla loro bontà o meno.



Ecco altri stralci dai commenti: «Per quanto ancora lo Stato dovrà “ridare agibilità alla liquidità interbancaria” cioè soldi e favori, ai signori della finanza e delle banche (so che ci sono anche persone degne e onorevoli in questi settori, io sto parlando degli altri, che non sono pochi)?» (Andrea Gualandi); «Lobbies interessate hanno spinto la privatizzazione e riduzione dei controlli, i conflitti di interesse tra controllati e controllanti, la ridicolizzazione dei reati e delle pene, la riduzione della sicurezza sul lavoro» (Gaetano Greco)

Emerge la esigenza della responsabilità, intrinsecamente connessa alla autorità: «Lo Stato è necessario per una convivenza civile e si deve basare su leggi non solo naturali, ma anche su quelle positive (non passare col rosso, ad esempio). Queste regole ci devono essere, soprattutto quando i bambini sono capricciosi e in malafede, come i grandi finanzieri attuali, che hanno creato strumenti economici devastanti» (Michele Maioli); «Lo Stato faccia il regolatore ma sia anche autorevole e credibile: individui se ci sono e di chi sono le responsabilità visto che ha (abbiamo) sborsato diversi soldini» (Giuseppe Soli); «Le nostre aspirazioni non possono ledere le altrui e purtroppo oggi scontiamo tutti una finanza globale leggera e con ambizioni paradisiache per pochi eletti» (Paola Corradi).



Efficace il parallelo fatto da Michele Maioli tra i bambini e i grandi finanzieri. Quando un bambino fa un capriccio è perché vuol seguire la sua voglia del momento, senza tener conto di ciò che la realtà, o i genitori, imporrebbero. Sostituite al leccalecca l’eccessivo guadagno sul breve termine, ai genitori le regole e i parametri bancari, alla realtà di un probabile mal di pancia l’assunzione di rischi irrealisticamente elevati, e avrete la descrizione di gran parte di questa crisi. Un’altra buona parte è spiegabile dall’altro termine: malafede. Non vedo infatti quale altro termine si possa impiegare per chi ha messo sul mercato prodotti che ora tutti, comprese le autorità, definiscono “tossici”. Se chi inquina un fiume finisce in galera (o almeno rischia), altrettanto dovrebbe essere per chi ha inquinato un mercato essenziale per l’intera economia, come quello finanziario.

Un’ ultima citazione: «La fiducia la si dà a qualcuno e non al sistema. Il lavoro da fare è molto, su ogni promotore, su ogni dirigente di impresa finanziaria, su ogni imprenditore che si apre al mercato e, naturalmente, su ogni investitore. Il male non è né lo Stato né il mercato, ma piuttosto l’assenza di un loro orientamento al bene di tutti» (Paolo Careri).

Condivido pienamente questo commento: la fiducia ha da essere riposta nelle persone, così come sempre personale è la responsabilità. Fiducia e responsabilità sono due facce di una stessa medaglia: non si dà fiducia a un irresponsabile, e se qualcuno mi affida qualcuno o qualcosa, io ne divento responsabile. Ciò vale a maggior ragione per il mondo bancario e finanziario, che non può che essere basato sulla fiducia. Anzi, qui la fiducia è talmente radicata da diventare talvolta cieca.

Il punto è che con la progressiva virtualizzazione di molti rapporti, attraverso internet, e-mail, segreterie telefoniche, etc., la fiducia rischia di essere sempre più data a dei sistemi, senza una faccia che possa, appunto, ispirare fiducia. Ma la responsabilità non può che rimanere personale e tocca alle persone conquistare la fiducia anche per conto dei sistemi di cui sono responsabili. Anche lo Stato è un sistema e la responsabilità è anche qui delle persone che lo compongono ed è la più elevata, perché riguarda l’intera comunità. Paolo Careri indicava come male l’assenza di un orientamento al bene di tutti: è questo un punto su cui si dovrebbe attentamente riflettere, qualcuno magari recitare anche il mea culpa,  e da questa riflessione non sono certo esclusi né politici, né operatori economici.