«La scuola fondamentalmente è l’incontro fra la libertà dell’insegnante (colui che lascia un segno, che propone un senso alla vita degli studenti) e la libertà dello studente (portatore di desideri e di domande). Finché una riforma non renderà possibile, non faciliterà l’incontro di queste due libertà, sarà sempre una “riformetta”».



Concordo pienamente con questo commento di Franco Bruschi e la sua definizione impiega termini su cui occorrerebbe riflettere più a fondo: incontro, libertà, segno, senso della vita, desideri e domande su di essa e su se stessi. La scuola non come semplice istruzione, ma come educazione che comprende tutta la persona, anzi, le due persone, insegnante e studente. E libertà, apertura alla realtà e all’altro come un suo tramite, per scoprire il senso di sé. Il contrario di chiusura, cattività, perdita di sé in se stessi.



Senza l’incontro tra la libertà dell’educatore, di colui che deve avviare verso il senso della vita l’allievo, colui che deve essere allevato a questo senso, senza l’apertura all’altro di entrambi, non vi può essere educazione. Se va bene, si possono insegnare e si possono apprendere cose da fare.

Non a caso, almeno una volta, si parlava di passione per l’insegnamento, di dedizione agli studenti, di alter ego dei genitori. Si diceva pure che un buon insegnante, in qualsiasi ordine di scuola fosse, era tale se sapeva trasmettere agli studenti la passione alla sua materia; cosa tuttavia impossibile senza giocarsi con tutta la propria persona, non solo con la propria scienza, pur necessaria, o con il mestiere. All’opposto, un insegnante che si mostrasse poco interessato alla propria materia, annoiato o peggio frustrato, difficilmente avrebbe potuto coinvolgere gli studenti, se non in modo negativo.



Sto descrivendo dei superuomini e delle superdonne, dei missionari? Non credo, visto che ciascuno di noi vecchi si ricorda ancora di qualcuno di questi insegnanti e che, dai commenti che arrivano a ilsussidiario.net, si direbbe che così ve ne siano ancora molti. Credo che ve ne siano purtroppo anche molti che hanno scelto l’insegnamento non per passione, ma per mancanza di altro e magari sperando che la passione venisse con il tempo.

Ma se la passione non è arrivata, è inevitabile che sia sopravvenuta la noia e la frustrazione e non si possa più parlare di libertà, ma di prigionia. Lo stesso discorso vale per gli studenti, perché lo studio è senza dubbio un diritto, che però comporta come conseguenza il dovere di studiare.

Invece, l’impressione è che spesso si sia mantenuta la pretesa al diritto, ma la fatica dello studio sia diventata un optional. Così, invece dello sconvolgente incontro di due libertà, si ha il disperante incontro di due chiusure.

«Quel che ogni giorno i giovani in classe ci chiedono è di avere di fronte degli uomini , non degli esperti, persone che offrano ipotesi, certezze che li aiutino a rispondere ai loro desideri e alle loro domande».

Anche questa ulteriore osservazione di Bruschi è importante: quanti insegnanti, ma anche quanti genitori, considerano ancora la scuola come il luogo in cui rispondere a desideri e domande, e non solo il luogo dove si “conquista” e si “elargisce” un pezzo di carta? E quanti studenti entrano nella scuola carichi di desideri e di domande e, soprattutto, si aspettano dai loro insegnanti delle risposte, almeno tentative? Per onestà bisognerebbe aggiungere anche quante famiglie o quante chiese, cioè quanti altri luoghi tradizionalmente educativi?

«Degli uomini, non degli esperti», perché il problema non è fornire istruzioni d’uso, per questo bastano i libretti e, alla fine, i computer battono qualsiasi esperto. A meno che non si ricuperi il vero significato di esperto, cioè colui che sa perché ha fatto esperienza, ha sperimentato la realtà, ha vissuto, cose che nessun libretto o computer può vantare.

Allora è vero che gli insegnanti sono materia preziosa per ogni società, per ogni popolo e come tali dovrebbero essere rispettati e trattati, anche economicamente, ma stiamo parlando di insegnanti come descritti, di Maestri e non di semplici impiegati statali.