Il referendum svizzero sui minareti ha causato un notevole numero di commenti, per il momento quasi tutti in sostanziale accordo, o non disaccordo, con i suoi risultati. I motivi sono articolati e ruotano attorno ad alcuni punti chiave, che proverò a riassumere.

Un primo fattore, preoccupante per molti lettori, è l’estraneità e invasività della presenza musulmana, sentita come molto più ingombrante di altre presenze straniere. La sensazione di estraneità dell’islam deriva da diversi elementi, storici, culturali, religiosi. Storici, perché quattordici secoli di lotte tra cristianità e islam hanno comunque lasciato il segno anche in un Occidente secolarizzato, mentre per gli islamici questa lotta rimane una realtà attuale. Quando Al Kaida ci definisce “Crociati”, o si richiama al Califfato, non è astratto pensare che le masse islamiche, non solo minoranze fanatiche, si sentano fortemente gratificate.



Anche le differenze culturali sono notevoli, ma questo è vero anche per altre comunità di immigrati. Ciò che viene sentito peculiare dei musulmani è l’inscindibilità col fatto religioso, rendendo difficile il confronto su entrambi i piani. Nei commenti si fa presente che il Corano non è solamente un testo religioso, ma anche giuridico ed è la base della legge islamica. Ci si può immaginare cosa succederebbe se in Italia venisse chiesta l’applicazione negli arbitrati del diritto canonico invece delle leggi italiane, come avvenuto in Inghilterra con la sharia.



Da diversi commenti traspare la convinzione che la libertà religiosa non sia messa in discussione dall’esito del referendum, che riguarda solo i nuovi minareti, ritenuti elementi non indispensabili. Anche i nostri campanili non sono un elemento essenziale alla liturgia e, infatti, molte chiese ne sono sprovviste senza che ciò intacchi nulla, se non l’estetica. I campanili, con il suono delle loro campane, invitano i fedeli alla liturgia e, in passato, scandivano anche le ore del giorno e del lavoro nei campi, o chiamavano la comunità a fronteggiare un pericolo. Per secoli sono stati punti di riferimento e segno di una presenza, religiosa e sociale, e di una identità culturale.



Viene poi fatto notare che la parola di Allah, proclamata dal muezzin, è di fatto imposta a tutti, musulmani o no, mentre le nostre campane, se non zittite da zelanti sindaci, invitano solo i fedeli. Da qui deriva anche la sensazione di invasività: la presenza musulmana vuol farsi vedere, vuol segnare il territorio, che una volta islamico lo sarà per sempre. Ad altre comunità si può rimproverare di chiudersi in se stesse, rendendo così più difficile l’integrazione. I musulmani danno invece l’impressione di considerare integrazione l’accettazione in toto della loro religione, del loro diritto e della loro cultura, tenendo in scarso conto leggi e cultura di chi li ospita.

Risulta comica la veemente difesa della libertà di religione da parte di una sinistra così pronta a ricacciare i cattolici nelle sacrestie. Che questi clericali laicisti si schierino in difesa dei minareti è cosa che fa pensare, come fa irritare la pronta discesa in campo dell’Onu, quell’Onu che rimane costantemente in silenzio di fronte alle persecuzioni di cristiani nei Paesi musulmani.

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Un altro elemento citato è la reciprocità di trattamento. Ha senza dubbio ragione chi fa presente che non si può sopprimere un diritto in nome di una simmetria di comportamento, ma viene percepito come arroganza il chiedere per sé, a casa nostra, ciò che ci viene negato a casa loro. Così come è arroganza inaccettabile l’intemerata contro il referendum del Gran Muftì d’Egitto, dimentico che nel suo Paese alla minoranza cristiana copta (il 12 % della popolazione) viene impedito di costruire nuove chiese, spesso di restaurare quelle che esistono e i copti sono sotto costante attacco non solo dei fanatici, ma anche delle autorità di quello che è considerato uno Stato islamico moderno e moderato.

 

Infine, vi è il problema della sicurezza, cui è facile rispondere che riguarda solo una ristretta minoranza dei musulmani, ma alla luce di quanto finora detto è difficile che la preoccupazione rimanga confinata alla richiesta di efficienti misure di polizia. Qui vi è un’oggettiva responsabilità delle istituzioni e comunità musulmane che, invece di limitarsi a prendere le distanze dagli estremisti, dovrebbero essere più decise nell’isolarli e denunciarli.

 

Vi è però anche chi definisce il referendum un regalo ai fondamentalisti, cui altri obiettano che la proliferazione di minareti non ammansirebbe di certo costoro, con il rischio anzi di dar loro più voce. Sono del tutto condivisibili le preoccupazioni dei vescovi svizzeri e del Vaticano di non porre ostacoli al dialogo con gli islamici, ma per dialogare occorre, qui sì, una base di reciprocità. Forse si è dimenticato quanto accaduto dopo il discorso del Papa a Ratisbona. E bisognerebbe chiedersi cosa sarebbe successo se una massa di cristiani si fosse radunata a pregare davanti a una moschea, come loro hanno fatto davanti al Duomo di Milano. Si sarebbero accontentati di qualche sommessa scusa? Lo ritengo improbabile, e non si sta parlando di fanatici estremisti.

 

Credo pericoloso ridurre tutto a razzismo o fascismo, pericoli reali ma che rischiano di diventare scuse per non parlare dei problemi, né si tratta di dar retta a strampalate e strumentali proposte leghiste. Ma si sta enfatizzando un fatto che, se avesse riguardato le chiese, sarebbe stato considerato di edilizia religiosa più che di libertà. Mettendo così sotto accusa la tanto decantata sovranità popolare, con espliciti accenni a un “popolo bue” bisognoso di essere guidato da una casta di illuminati pensatori. Guai però se la Chiesa dice che vi sono principi inalienabili che non possono essere sottoposti al volere della maggioranza. Né è questione di certezza nella nostra fede, come prospettato da qualcuno. La fiaccola sotto il moggio non serve a niente e se mi decidessi a seguire l’invito evangelico cominciando a gridare la mia fede sui tetti, mi darebbe comunque fastidio essere sovrastato dagli altoparlanti del muezzin del vicino minareto.