Il dibattito sulle “vicende” di Berlusconi ha avuto riflessi anche nel nostro quotidiano, attraverso commenti di lettori che hanno toccato vari punti della controversa questione. Al di là dei risvolti politici e di quelli giuridici, ancora da acclarare, e dei giudizi morali, vi è a mio parere un problema culturale da affrontare.
Ogni cultura è contraddistinta da contenuto e forma, intrinsecamente legati tra di loro e che si danno significato reciprocamente: l’assenza di forme è assenza della realtà e la forma slegata dal contenuto, fine a se stessa, si vanifica nel formalismo. Il problema del rapporto tra forma e contenuto mi sembra particolarmente sentito nella nostra epoca, in cui si è elevata a suprema forma l’informalità, e mi pare essere centrale anche in questa storia, che ruota attorno al confine tra privato e pubblico e alla rilevanza dei comportamenti privati per un uomo pubblico.
È indubbio che gli elettori si esprimano sui grandi valori di fondo e sui programmi, sui contenuti operativi, ma le qualità delle persone che questi valori e programmi devono portare avanti sono tutt’altro che irrilevanti. Prima ancora della moralità in senso stretto, qui si tratta di qualità ed empatia delle persone, della possibilità di aver fiducia in esse. Dati i risultati elettorali, una parte notevole di italiani riconosce tutto ciò a Berlusconi, che sembra di conseguenza essersi attestato su questa posizione: sono così e così piaccio agli italiani.
Può darsi che abbia ragione, tuttavia il problema della forma rimane e attiene non alla persona Berlusconi, ma alla sua carica istituzionale. Il Berlusconi imprenditore ha totalmente improntato di sé la sua impresa e il suo stile imprenditoriale era evidentemente del tutto adatto al settore, visto il successo ottenuto. Ora, però, si parla non più dell’imprenditore, ma del capo del governo italiano.
L’integrazione tra contenuto e forma diventa stile di comportamento, e ciascuno di noi ha un proprio stile personale, adattandolo tuttavia alle varie circostanze. Chi non andrebbe mai in ufficio senza giacca e cravatta, non va comunque vestito così in spiaggia, e nessuno di buon senso si presenterebbe a un’udienza privata dal Papa in calzoncini e canotta: non sarebbe sensato disprezzo delle “forme”, bensì aperto disprezzo dell’intelligenza e mancato rispetto per il Pontefice. Qualcosa del genere è accaduto nella vicenda in discussione.
La vivacità, l’apertura, la spontaneità di stile non comportano di per sé l’assenza di educazione, rispetto, prudenza e senso della riservatezza: soprattutto prudenza e riservatezza sono le grandi assenti in tutta la questione. D’altro canto, è come se Berlusconi pensasse che basta la sua, senz’altro dirompente, personalità per cancellare i ruoli istituzionali. In altri termini, Berlusconi pensa di aver diritto a comportarsi da Berlusconi, poco importa se è anche primo ministro.
Il vero problema non è nelle avventure nelle varie ville che, se accertate, sarebbero soprattutto penose, e può senz’altro dar fastidio e rimanere incomprensibile, anche a chi come me lo ha votato, un comportamento da Briatore al Billionaire. Ciò non toglie che Berlusconi possa essere un buon governante e tener fede agli impegni di contenuto per cui è stato mandato al governo. Rimane il problema di una posizione culturale in cui consenso e potere, pubblico e privato, ruolo e persona si confondono, una sorta di “l’état, c’est moi” in sedicesimo. Al Re Sole è però succeduto un Luigi XV passato alla storia per “ après moi, le deluge”, diluvio che si è puntualmente verificato e di cui subiamo ancora le conseguenze. A questo punto, viene in mente il vecchio Marx e il suo avvertimento sulla storia che si ripete come farsa.
Forse varrebbe la pena di ricordare, a noi tutti e non solo a Berlusconi, che Prudenza e Temperanza sono due delle quattro virtù cardinali, che con le altre due, Fortezza e Giustizia, dovrebbero essere alla base del comportamento umano. In particolare lo dovrebbero essere per chi riveste cariche pubbliche, politici, magistrati, amministratori, e per chi ha rilevanza pubblica, imprenditori, giornalisti, intellettuali, uomini di Chiesa e via dicendo. E volendo parlare di vizi capitali in questo caso, forse più che della lussuria, da una parte e dall’altra dovremmo preoccuparci della superbia e dell’invidia.