Il sondaggio in corso su ilsussidiario.net sulla domanda “ Il Governo Berlusconi deve ridurre le tasse o difendere i conti dello Stato?”, oltre che una maggioranza di votanti in favore della riduzione, ha provocato una serie di commenti, il cui filo conduttore è che le due cose, alla fine,possono non essere incompatibili. Basta volerlo seriamente.
Dai commenti, tuttavia, traspare una certa sfiducia nella volontà dei nostri politici a tal proposito. E non si tratta di qualunquismo, perché quasi tutti i commenti danno anche suggerimenti su cosa fare. Anche chi, come Laura Santoro, dichiara di non voler neppure rispondere ad una domanda che ritiene inutile, punta il dito sulla politica di riduzione del personale nel pubblico impiego, mentre si lasciano intatti “contratti di consulenza faraonici”. Anche Gilberto Gobbo pensa che la domanda “sia mal posta”, perché le due cose potrebbero andare in parallelo, se il governo ponesse, per esempio, dei massimali agli stipendi nel pubblico e nel privato, vietasse il cumulo degli incarichi o andasse contro gli interessi dei “nuovi ceti intoccabili”.
Anche da altri commenti traspare una certa irritazione per diseguaglianze e privilegi. Così si ricorda che solo i lavoratori dipendenti hanno scarse possibilità di evadere le tasse, o ci si chiede di chi sia l’esercito di SUV che si vede per le strade, dato che ufficialmente i “ricchi “ sono così pochi. Soprattutto si pensa che sia possibile ridurre gli sprechi nella spesa pubblica.
Così Simone Borri chiede che si evitino le grandi opere inutili, come il Ponte sullo Stretto, e che si eliminino le province e si riducano i costi della politica, cose queste ultime su cui concorda anche Paolo Vallarelli. Giuseppe Lino e Attilio Sangiani, ma non sono i soli, richiamano l’attenzione sulla necessità di più incisive politiche in favore della famiglia e denunciano, come particolare ingiustizia, la mancata introduzione del quoziente familiare.
Vi sono altri suggerimenti operativi. Per esempio, Paola Corradi segnala come il carico fiscale stia frenando gli stranieri dall’investire nel nostro Paese e suggerisce di passare dai prelievi a “corpo” a quelli a “misura”, facendo pagare ai cittadini i servizi di cui usufruiscono, abbassando così il prelievo generalizzato. Tra l’altro, sarebbe così più facile individuare, e sopprimere, gli enti inutili e gli sprechi connessi.
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A proposito di imprese, Roberto Alabiso denuncia una politica di sostegno che privilegia le grandi imprese, più “premianti” mediaticamente, mentre le PMI vengono lasciate a se stesse, nonostante il loro destino coinvolga parecchi milioni di lavoratori. E ancora Vallarelli suggerisce di eliminare ogni tassazione sulle nuove imprese di ogni tipo per i primi due anni e , più in generale, di aumentare la no tax area, mentre Sangiani vede nel passaggio da imposte dirette ad indirette un modo per non diminuire il gettito globale, sulla linea di quanto proposto da Paola Corradi.
Infine, Annalisa Massari sostiene che, dovendo scegliere, sceglierebbe comunque di difendere i conti dello Stato, per salvare quel poco di Stato sociale rimasto, perché la liberalizzazione dei servizi ha portato solo prezzi alti e qualità scadente. Se paghiamo meno tasse, pagheremo di più i servizi, scrive Annalisa.
Cosa si può trarre da questa carrellata di opinioni? In primo luogo, che la sfiducia nei politici di cui all’inizio dell’articolo ha qualche ragione di essere, visto che molti dei problemi segnalati non sono certo sorti ieri, e i vari governi non si sono, a quanto pare, dimostrati capaci neppure di affrontarli in modo serio. Forse è per questo che la maggioranza dei votanti dissente da Annalisa Massari e preferisce la riduzione delle tasse: come dire, lasciateci più soldi che i nostri problemi siamo più bravi noi a risolverli.
In secondo luogo, che i nostri lettori, impegnati ogni mese a far quadrare i propri bilanci familiari, sanno benissimo cosa significa tenere in equilibrio entrate e spese e come sia necessario tenere sotto controllo i debiti, per non far saltare tutto. E che gli sprechi sono comunque da evitare, perché sono un puro costo che al massimo serve qualche interesse parassitario. In poche parole, i nostri lettori invocano un comportamento da “buon padre di famiglia”, ma ritengono che politici e “grandi famiglie” abbiano da lungo dimenticato cosa questo significhi.