L’articolo di John Waters sulla Lettera Pastorale del Papa ai cattolici di Irlanda ha suscitato i commenti negativi di alcuni lettori. Vorrei a mia volta commentarli, per approfondire alcuni aspetti a mio parere non del tutto centrati. Non commenterò, almeno in questa occasione, quanto scritto da Franco Griziotti Basevi, che non critica l’articolo, ma il Papa e la Chiesa in sé, anche se rappresenta una delle posizioni contro cui Waters si batte.



Un primo punto nei commenti è che il Pontefice ha fatto quel che poteva fare e non poteva fare di più, a meno di “strisciare davanti ad ogni vittima e fare mea culpa, chiedendo perdono e dimettersi” ( Massimiliano Pellegatta). Mi sembra che Waters non abbia chiesto nulla di tutto questo e abbia definito la Lettera “un documento forte, che biasima in modo inequivocabile chi e cosa devono essere biasimati e che punta a quel rinnovamento radicale della proposta cristiana essenziale per il futuro del cattolicesimo in Irlanda.”



A me pare di capire che la preoccupazione di Waters non riguardi il contenuto, ma la forma scelta dalla Santa Sede per intervenire, una Lettera Pastorale, cioè un documento prettamente interno alla Chiesa e rivolto ai fedeli che di questa Chiesa si sentono parte e che riconoscono l’autorità di chi la guida. Infatti, aggiunge che questo importante documento “se la crisi dovesse essere risolta dentro la Chiesa, avrebbe raggiunto l’obiettivo per il quale è stato emanato.”

Dall’interno della situazione della comunità cattolica irlandese, Waters fa presente che il male fatto non si è limitato alla comunità cristiana, ma ha investito tutta la società civile, di cui anche i cattolici fedeli a Roma sono parte. La sua opinione è che la Lettera non dia risposte sufficienti a questo secondo aspetto, che non è possibile trascurare.



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Chi ha la mia età, ricorderà come fu duro, all’epoca del referendum sul divorzio, rispondere a colleghi o conoscenti che chiedevano perché volssi rovinare la loro vita, impedendogli di divorziare. E spesso si trattava di storie veramente dolorose da un punto di vista umano. Noi avevamo allora un principio giusto da difendere, con tutta la carità possibile. I nostri fratelli irlandesi, pur con tutta la carità possibile, si trovano di fronte a indifendibili fatti malvagi, perpetrati da uomini che portavano su di sé il nome di Cristo e che invece dell’amore che ciò presupponeva, esercitavano violenza su esseri deboli a loro affidati proprio per il loro essere di Cristo.

 

Per questo mi sembra non tener conto della realtà il commento di Carla D’Agostino Ungaretti, quando afferma che se il Papa avesse chiesto perdono a nome di tutta la Chiesa “avrebbe coinvolto come colpevole anche me, che ne faccio parte. Invece i colpevoli sono individualmente quei pochi o tanti (sempre troppi) che hanno commesso quegli atti abominevoli.” Se si fosse trattato solo di colpe individuali, poche o tante, perché la convocazione dei vescovi irlandesi a Roma e una lettera pastorale? Mi sembra che Benedetto XVI sia ben conscio che ciò che rischia di essere posto radicalmente in discussione è la Chiesa nella sua globalità, Chiesa già al centro di un attacco frontale da forze non solo esterne ad essa.

 

Si arriva così a un altro punto cruciale di questa triste storia, cioè l’accusa alla Chiesa di aver coperto i colpevoli e di volerli giudicare al suo interno, sottraendoli alla giustizia secolare, in una sorta di ritorno a una medievale giurisdizione separata. Nella sua Lettera, il Papa è molto netto su questo punto, affermarndo il diritto della magistratura ordinaria a giudicare i casi accertati: se Waters ritiene questo un passo non sufficiente, è un suo giudizio dall’interno di una situazione drammatica che non comporta, mi pare, una presa di distanza dal Papa, bensì una richiesta ulteriore di aiuto.

 

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Ha ragione Antonio Servadio nel dubitare “che sia utile che il Santo Padre sconfini addentrandosi in argomentazioni giuridiche o sociologiche”, ma il problema esiste e dovrà essere affrontato dalla Santa Sede. Qui si ritorna a quello che mi sembra il punto centrale di Waters: forse la bellissima e profonda Lettera Pastorale non basta.

 

Se queste sono le intenzioni di Waters, non mi sembra contraddicano il bel commento di Francesco Carbonchi, che afferma, tra altre cose: “L’indicazione del Papa risponde al bisogno profondo di giustizia di ogni uomo, non solo dei cristiani.” Credo che Waters sia d’accordo, ma il Papa stesso, come detto, riconosce l’esistenza di un problema giuridico, perché in Irlanda non sono stati commessi solo peccati, ma veri e abominevoli reati. La cui punizione non sazierebbe di certo questo bisogno profondo, “nemmeno se tutti i preti pendessero dalla forca, come molti, e non da oggi, si augurano.”

 

Tuttavia, il problema rimane e necessita di una risposta chiara e inequivocabile, non per dare ragione a Waters, ma per il bene della Chiesa universale che, dopo gli Stati Uniti e l’Irlanda, è ora sotto attacco in Germania, coscienti che l’assalto non si fermerà tanto presto.