In un precedente articolo, parlando della crisi greca, avevo accennato al succedersi di tre stati d’animo: sorpresa per una crisi da molti non prevista, rassegnazione, perché le crisi avvengono, purtroppo, da che mondo è mondo, rabbia, perché le crisi però finiscono per pagarle sempre i soliti, e non quelli che le hanno generate.
In Grecia la rabbia si è infatti scatenata con il precipitare della situazione, mentre in altri Paesi ancora in bilico, si sta ancora assistendo al dibattito tra i pessimisti, che dicono che il peggio deve ancora venire, e gli ottimisti, che affermano che si intravede la luce in fondo al tunnel. Qui, i sentimenti che dominano, e con ragione, sono ansia, incertezza e prudenza, che porta molti a ridurre consumi e investimenti per aumentare i risparmi e prepararsi così a ogni evenienza.
Così provocano però sconforto negli economisti che, da un lato proclamano che vi sono meno soldi nelle tasche dei cittadini, ma dall’altro vorrebbero che questi consumassero di più per sostenere l’economia, mantenendo però la loro tradizionalmente elevata propensione al risparmio per poter investire in quei nuovi strumenti resi finalmente sicuri dalle nuove regole varate da Obama negli States e da, vedremo chi, in Europa. E agli economisti si aggiungono politici, industriali, commercianti e banchieri, tutti molto interessati ai nostri consumi e ai nostri risparmi.
Ci si può aspettare, quindi, che si aggiungano altri due sentimenti: sfiducia e indignazione. Gli italiani sono abituati da secoli a far da soli, ignorando chi li governa, e questo rappresenta una forza, ma anche una grande disgrazia, per il nostro popolo, perché così non riusciremo mai ad avere un vero Stato e una classe politica dedicata al bene comune, nei fatti e non nelle vuote parole.
Se non una prova di questo stato d’animo, almeno un indizio sono i commenti che arrivano dai nostri lettori agli importanti e utili articoli che il nostro quotidiano pubblica su questi argomenti.
Parto da quello di Pasquale La Porta: “non ha senso far conto sulla lotta all’evasione per ristabilire un’equità fiscale: in presenza di più quattrini la pubblica amministrazione aumenterebbe gli sprechi e il clientelismo piuttosto che migliorare i servizi e diminuire le tasse.”
Ho l’impressione che così pensino molti di noi, se non altro perché non si vede sulla scena nessuno in grado di invertire questa tendenza storica e consolidata per il nostro Stato. Le speranze poste a mano a mano nel consumato politico, nel grande tecnico, nell’austero laico o nel morigerato cattolico, nell’abile imprenditore, sono andate deluse.
Ecco quanto afferma Guido Gazzoli in un suo commento: “finché esisterà uno stato nello stato (quello politico rispetto a quello reale) che genera costi altamente fuori controllo e li adegua continuamente con decretini ad hoc … la soluzione del problema resterà una chimera. “
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Gazzoli, nel suo commento, si difende preventivamente dall’accusa di demagogia e credo abbia ragione, perché qui non si tratta di demagogia da parte di chi pone il problema, bensì di cecità o arroganza di chi non vuole porselo. Gli stessi politici in realtà parlano della necessità di ridurre i costi della politica, ma ancora una volta il conto deve pagarlo qualcun altro: il governo vuol ridurre le spese degli enti locali, questi protestano che loro sono già all’osso e che devono essere gli enti centrali a sprecare di meno, che a loro volta ribattono di aver già fatto sacrifici indicibili e, alla fine, tutti si trovano poi concordi nel dare la colpa agli evasori che li costringono, loro malgrado, ad aumentare le tasse. Appunto.
Ma i nostri lettori non si fermano ai soli politici e ne hanno anche per gli industriali, come dal commento di Adolfo Ferrarese che invita Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, oltre che a scagliarsi opportunamente contro i ritardi nei pagamenti dell’amministrazione pubblica, “forse il più grande cappio per le piccole aziende che oramai pagano di interessi i marginali utili rimasti…” a dare il buon esempio “facendo pagare dalle sue(della Confindustria) aziende i creditori in tempi non biblici “
Già, perché anche la grande impresa spesso usa il suo “indotto” di piccole imprese come fonte di liquidità, e sono magari le stesse grandi imprese che immobilizzano enormi capitali di quelle banche che poi non hanno più soldi da prestare alle suddette piccole imprese.
Per carità, vi sono molti politici che servono la collettività con passione, molte grandi imprese che non affamano i fornitori, molte banche attente anche alle piccole imprese, ma ciò non toglie che il sistema nella sua globalità sia molto vicino a come descritto nei commenti riportati. O che così venga percepito da una maggioranza di cittadini, e anche in questo caso sarebbe comunque un grosso problema.