A quanto pare, perché in politica nulla è mai del tutto definitivo, tanto tuonò che piovve e Gianfranco Fini è fuori dal PDL, in procinto di fare un proprio movimento politico, l’ennesimo di questo fasullo e grottesco bipolarismo all’italiana.
Molti sono stati i commenti dei nostri lettori ai numerosi articoli che hanno cercato di spiegare ciò che stava succedendo. Accanto ai giudizi sulla questione e le prese di posizione tra i due contendenti, Fini e Berlusconi, traspare una evidente insofferenza verso una vicenda ritenuta estranea ai veri interessi delle persone in questi tempi difficili.
Questo atteggiamento si sta diffondendo tra le persone normali nei confronti di politici ed economisti, come già detto in altri articoli: non è più tempo, si dice, di parole e i fatti non si vedono. Giudizio forse un po’ ingeneroso, ma non campato in aria, e che la politica ridotta a continua bagarre, con inserimenti da pochade (genere a cui possono essere ascritti i casi Scajola e Brancher), rende sempre più pesante.
Tuttavia, a mio parere, il caso Fini presenta aspetti che vanno oltre questo quadro. Interessante, sotto questo profilo, il commento di Attilio Sangiani : “è sbagliato credere che la fronda di Fini sia recente, alimentata dalla c.d.”questione morale” o da concorrenza interna al partito. In realtà è molto antica e riguarda punti qualificanti del PdL.”
Sangiani illustra il suo punto elencando una serie di passate “rotture” di Fini, come sulla legge 40/04, sulle proposte per il “fine vita”, l’atteggiamento sul caso Englaro. E conclude: “Si tratta,quindi,di un conflitto radicato su basi valoriali e non tanto su fatti contingenti o caratteriali. Se Berlusconi pensa di espellere Fini,a mio parere dovrebbe ben evidenziare le ragioni, per non perdere il sostegno dell’elettorato cattolico.”
A Fini va riconosciuto il merito di aver portato il vecchio MSI fuori dalle secche di un fascismo fuori del tempo e a Berlusconi quello di averlo “sdoganato”, ma si è commesso l’errore di pensare a un’Alleanza Nazionale omogenea nei suoi valori di fondo, posta alla destra di Forza Italia e in cui gli unici pericoli venivano dai nostalgici della “Buonanima”.
In Alleanza Nazionale, come d’altro canto nel Partito Fascista, convivevano e convivono diverse anime, da quella sociale a quella corporativa, da quella di ispirazione cattolica a quella laicista. Fini è attribuibile a quest’ultima che, minoritaria in Italia, è ben presente invece nella destra di altri Paesi europei.
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Credo quindi, che Fini abbia agito, lucidamente dal suo punto di vista, avendo persa ogni speranza di succedere alla guida del PdL, visto che il Cavaliere non ne vuol neppure sentire parlare, ritenendosi imperituro e in grado di guidare il partito a colpi di “ghe pensi mi”, frase resa famosa decenni fa dal personaggio “il cavaliere” del comico milanese Tino Scotti.
Al di là delle conseguenze strettamente politiche, che vedremo nei prossimi giorni e che rendono, fra l’altro, sempre meno remota la prospettiva di elezioni anticipate, sono importanti le questioni di contenuto. Nonostante una generale ispirazione cattolica, a mio parere sempre più vaga, le presenze di tipo laicista non sono di certo assenti nel PdL, che se liberale in economia, almeno a parole, può facilmente diventare libertario verso molti di quelli che la Chiesa considera “valori irrinunciabili”.
Dal punto di vista dei cattolici elettori del PdL il problema non è Fini, ma Berlusconi che, come dice Sangiani, dovrebbe esplicitare le ragioni di fondo dell’espulsione di Fini e dei suoi, e il modo migliore è che il premier illustri in modo essenziale e convincente i valori che guidano la sua azione e quella del partito che così monoliticamente pretende di rappresentare.
Non vorrei sbagliarmi, ma l’uscita di Fini potrebbe essere un elemento di chiarimento, così come l’uscita di molti cattolici delusi dal Pd ha evidenziato la residualità dei valori cattolici all’interno della sinistra.
Caro Cavaliere, dai commenti dei nostri lettori e da quelli che si sentono per le strade, non è più tempo di “basta la parola”, per citare un altro famoso slogan del suo omonimo, Tino Scotti.