In un mio precedente intervento sulla visita di Gheddafi, mi ero ripromesso di tornare sulla questione della moschea presso Ground Zero, sulla quale negli Stati Uniti il dibattito continua attorno essenzialmente a due punti: il rispetto per le vittime dell’11 settembre e la libertà religiosa.

Vi è ormai una larga confluenza circa l’inopportunità di costruire un Centro islamico di quelle dimensioni, si parla di 13 piani, a due isolati dal luogo del massacro. Tuttavia, molti affermano che, per quanto sia inopportuna la scelta del luogo, vietando la costruzione del Centro si violerebbe la libertà religiosa che è alla base della società americana.



Ci troveremmo così di fronte alla più recente delle numerose ondate repressive che, malgrado la libertà di cui sopra, hanno colpito mano a mano le minoranze culturali e religiose negli Stati Uniti, oggetto dell’articolo di Lorenzo Albacete intitolato “Cosa è successo ai cristiani nella terra della libertà religiosa?”.



Inoltre, dato che il terreno è stato regolarmente acquistato e il progetto approvato, si andrebbe contro la legittima iniziativa di un gruppo privato, per di più in base a una discriminazione religiosa. Dall’altra parte si fa notare che considerazioni di carattere pubblico hanno spesso preso il sopravvento su interessi privati e, di recente, sembra anche verso altre confessioni religiose.

Quindi, in nome della libertà religiosa e delle libertà private, non vi sarebbe nulla da fare, a meno di un passo indietro dei promotori, al momento estremamente improbabile. Quindi, niente di simile a ciò che avvenne nella controversia, decenni fa, sull’insediamento di Carmelitane nei pressi del campo di sterminio di Auschwitz. In quel caso, come ricorda Albacete nel suo editoriale dal titolo “Ground Zero agli islamici?”, Giovanni Paolo II fece cambiare il progetto, salvaguardando il dialogo religioso con gli ebrei e rispettando le sensibilità e i diritti di tutti.



In compenso, la questione sta diventando sempre più politicizzata, con una parte dei Repubblicani che vi vedono la possibilità di incrementare il loro già previsto successo alle elezioni di novembre.

I promotori dell’iniziativa, che hanno condannato l’attacco alle Torri Gemelle, sostengono che i musulmani sono ben integrati nella società americana, proprio per la sua libertà. La proibizione della moschea metterebbe a rischio questa integrazione, facendo il gioco degli estremisti, la cui interpretazione dell’islam è rifiutata dalla stragrande maggioranza dei musulmani americani.

A questo proposito è interessante quanto dice Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, in un’intervista all’americano National Catholic Register: “ Tutte le posizioni dei fondamentalisti islamici si possono trovare nel Corano e nella tradizione. Vi sono anche altre posizioni, ma vi è anche la loro, ed è molto presente nel Corano e nella Sunna.” Vale a dire che si può condannare questi atti, ma non li si può definire “non islamici”.

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È perciò rilevante stabilire che tipo di musulmani stia dietro il progetto, andando a leggere cosa dicono sul loro sito, da cui risulta che lo scopo di questa organizzazione non profit è di promuovere la comprensione tra le varie culture e fedi attraverso una serie di attività, tra le quali non appare il Centro in discussione.

 

Secondo il sito, Cordoba Initiative non ha nessun legame formale o legale con il progettato Centro Islamico, nato da un’idea dell’Imam Feisal Abdul Rauf, fondatore dell’organizzazione, e di sua moglie Daisy Khan, a sua volta fondatrice di un’associazione parallela per l’aiuto ai giovani e alle donne. Tanto che, quando inizierà la raccolta dei fondi, si costituirà una nuova e separata associazione non profit. L’acquisto dell’edificio al cui posto dovrebbe sorgere il Centro è stato effettuato da una società immobiliare, di proprietà di un frequentatore della moschea dell’imam.

 

In effetti, a proposito di libertà religiosa, nella zona vi è già una moschea, guidata dal suddetto imam, a dodici isolati da Ground Zero. Il sito infatti definisce la nuova iniziativa un centro interculturale, aperto a tutti, in cui troverà posto anche un luogo di preghiera per i musulmani della zona, così come un monumento alle vittime dell’11 settembre.

 

L’accento è posto più sulla valenza culturale che su quella religiosa: il Centro avrà lo scopo di dar voce a tutti coloro che si oppongono all’estremismo e al terrorismo, a partire dalla stragrande maggioranza di musulmani americani che amano il loro Paese e il cui desiderio di pace viene soverchiato dalle azioni di un manipolo di terroristi.

 

Il Centro, si ribadisce, sarà un punto di lotta contro l’estremismo, di “ entrambe le parti”, chiuso agli estremismi di tutte le fedi. “ Il Centro è un importante passo verso la costruzione della comprensione e della pace. Così come noi ci impegniamo a capire la fede e le tradizioni dei nostri vicini, questo centro invita gli altri ad imparare di più sulla vera natura dell’islam, una religione di pace, di tolleranza e comprensione.”

 

Sul sito si esprime tutta la propria vicinanza alle famiglie delle vittime dell’attentato, fatto in nome dell’islam, si afferma, ma in realtà per ragioni politiche e finanziarie, e ci si dichiara disposti a collaborare con i rappresentanti delle vittime per fugare tutte le loro, comprensibili, preoccupazioni.

 

I promotori del Centro dimostrano di avere una chiara visione dei problemi che hanno di fronte, ma sembrano anche convinti di avere tutte le risposte e di ritenere chiusa la questione.

 

 

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Questa visita al sito, decisamente interessante, non ha fugato tutti i dubbi esposti alla fine del mio precedente articolo. A partire dal nome dell’organizzazione, Cordoba Initiative, che il sito dice essere stato scelto accuratamente per ricordare un periodo in cui l’islam giocava un ruolo grandioso nell’arricchimento della civiltà e della cultura. Allora, un migliaio di anni fa, la città spagnola di Cordova era un centro prosperoso di vita intellettuale, spirituale, culturale e commerciale, in cui convivevano musulmani, ebrei e cristiani.

 

Si tralascia di dire che ebrei e cristiani erano anche allora, come ora, dhimmi, cittadini di serie B protetti dai “veri credenti”, i musulmani. È forse questo il tipo di rapporto che si vuol ricostruire a New York? Non basta dichiarare di non essere estremisti, perché anche l’islam della Cordova di allora non lo era, ma il risultato fu ugualmente discriminante nei confronti dei non islamici.

 

Cordova, il centro più importante del califfato di El Andalus (Andalusia, anche se il toponomastico richiama in realtà i Vandali), conquistata dagli arabi nel 711 e riconquistata da Ferdinando III di Castiglia nel 1236, è tornata alla cronaca qualche tempo fa per i tafferugli causati da un gruppo di musulmani che pretendevano, con la forza, di pregare nella cattedrale cattolica.

 

Già da qualche anno, spagnoli convertiti all’islam e appoggiati dalla amministrazione socialista, chiedono che la cattedrale sia trasformata in luogo di culto comune alle due religioni, ricevendo il fermo diniego dell’arcivescovo locale. La base della richiesta è che la cattedrale è stata costruita trasformando la precedente moschea, tacendo peraltro il fatto che questa era sorta a sua volta su una precedente chiesa cattolica.

 

Seguendo questa logica, di quante chiese trasformate in moschee potrebbe chiedere la restituzione il mondo cristiano? La scelta del nome Cordoba si rivela, quindi, fortemente simbolica, ma come si vede tutt’altro che tranquillizzante. Forse per questo gli stessi promotori hanno cambiato il nome del Centro da Cordoba House a Park 51, cioè il suo indirizzo civico.