MORTO SVEN-GORAN ERIKSSON: UN ALLENATORE GENTILUOMO
La morte di Sven-Goran Eriksson è un duro colpo: tutti ce ne dobbiamo andare, è una grande certezza, ma ci sono alcune dipartite che possono toccare il grande palcoscenico più di altre. Quella di Sven-Goran Eriksson, almeno per il pubblico che racchiude gli amanti del calcio, non ha lasciato indifferenti: sapevamo che era questione di tempo, la notizia della sua malattia (un tumore al pancreas) era nota e diffusa, lui stesso l’aveva condivisa con tutti. Oggi, purtroppo, è arrivato quel giorno: Sven-Goran Eriksson ci ha lasciati a 76 anni, ed è un grande vuoto.
Anche per questo, soprattutto per questo e in virtù di questo, il 2024 di Sven-Goran Eriksson è stato un lungo tour di addio: nello spazio di pochi mesi il manager svedese è riuscito a salutare tre grandi piazze che in qualche modo lo hanno toccato, segnandone la carriera. L’Olimpico biancoceleste, casa di quella Lazio portata a vincere scudetto, Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea; il Luigi Ferraris, vestito a festa per ricordare l’allenatore di una Sampdoria che, già in fase di “restauro” dopo l’epopea di Vujadin Boskov, ha comunque permesso a Eriksson di vincere una Coppa Italia.
Infine Anfield, che a dire il vero non ha mai direttamente accolto lo svedese. Perché, allora? Semplice: nei giorni della malattia, Eriksson rivelò tra le altre cose come uno dei suoi grandi sogni fosse quello di allenare il Liverpool, almeno una volta. Detto fatto: nella partita delle Leggende contro l’Ajax, i Reds hanno messo Sven-Goran Eriksson in panchina e lui, felice come una Pasqua anche perché consapevole di cosa lo avrebbe atteso poco dopo, dava indicazioni mentre la Kop intonava il “You’ll never walk alone”. Un sogno, appunto.
SVEN-GORAN ERIKSSON, SUCCESSI E SFORTUNE
La morte di Sven-Goran Eriksson ci tocca: forse c’è qualcosa di sbagliato nel citare come una mosca bianca un personaggio esemplare, purtroppo la realtà dei fatti è questa e allora con soddisfazione ricordiamo come Eriksson sia realmente stato un signore nel mondo del calcio. Mai una parola fuori posto, mai una polemica sopra le righe, quasi sempre il sorriso sulle labbra unito, naturalmente, a una grande dedizione nel suo lavoro perché sì, Eriksson allenava e lo faceva anche bene. Parla il palmarès, da solo, citato in altri spazi; noi ricordiamo il grande ciclo con la Lazio portata a primeggiare in Europa, poi il Benfica.
Anche e soprattutto una straordinaria Coppa Uefa con il Goteborg, andando a vincere 3-0 ad Amburgo (dopo essersi imposto in Svezia) contro la squadra di Ernst Happel, Felix Magath e Horst Hrubesch: il suo lasciapassare per il grande calcio, perché da lì sarebbe arrivato il Benfica e poi la lunga avventura in Italia. Roma, Fiorentina, appunto Lazio e Sampdoria: la morte di Eriksson è una notizia triste anche e soprattutto a casa nostra, perché lo svedese lascia in dote 590 panchine con le nostre rappresentanti. Se c’è un cruccio, è quello della nazionale inglese ma, possiamo dirlo, anche qui ha scritto la storia.
Nel 2001 Eriksson è diventato il primo CT straniero dei tre leoni, cui poi sarebbe seguito il solo Fabio Capello (l’attuale Lee Carlsey è irlandese e se vogliamo non rientra nel conteggio, e comunque è una soluzione ad interim. Ebbene: nella sua esperienza da Commissario Tecnico dell’Inghilterra, Eriksson è stato sfortunato: agli Europei il Portogallo lo ha fatto fuori due volte ai rigori, ai Mondiali (2002) si è piegato solo a una punizione di Ronaldinho che, ancora oggi, non è chiaro se il Gauchio volesse effettivamente tirare in porta o meno. Buon viaggio, Sven-Goran Eriksson: sarà banale dirlo, ma mancherai a tutto il mondo del calcio.