Sveva Casati Modignani, scrittrice il cui vero nome è Bice Cairati, ha parlato tra le colonne di Sette della sua infanzia complicata. “Siamo stati una famiglia di miserabili, parenti poveri di una schiatta di gente danarosa. Mamma voleva scimmiottare i parenti ricchi, mangiavamo pane e patate, ma mi faceva vestiti meravigliosi e voleva che portassi con me la bambola quando uscivamo. Io non volevo, quindi, erano botte”, ha raccontato. Il rapporto con il padre, invece, era diverso. “Somigliava a me, però mi diceva: porta pazienza, la mamma ti vuole bene, ma è fatta così”.
Anche in merito al futuro, l’autrice e la madre avevano dei programmi molto diversi. “C’erano i soldi solo per far studiare mio fratello. In realtà, mamma era una bigotta e voleva che facessi la suora. La sera, mi faceva recitare preghiere a suon di scappellotti, che si concludevano con: Gesù, fammi la grazia di farmi diventare suora”. Presto, però, andò a lavorare in una ditta, senza mai dimenticare la sua passione. “Mi consolavo leggendo libri, sognando, pensando: vorrei scrivere così”.
Sveva Casati Modignani: “Mamma bigotta, voleva fossi suora”. Il rapporto col marito
Sveva Casati Modignani, nonostante sia cresciuta con una mamma bigotta che voleva diventasse suora, è sempre stata una bambina ribelle. “A me, il ‘68 non fece neanche il solletico, perché me l’ero fatto nel ‘58”, ha raccontato a Sette. A dimostrarlo anche il rapporto con Nullo Cantaroni: “ L’ho visto ed è nato un folle amore. Io vent’anni, lui trenta. Era sposato, aveva una figlia, era una storia impossibile, ai tempi. Immagini mia madre. Mio padre comprò una pistola e disse: se ti vedo ancora con lui, ti ammazzo. Ci siamo sposati solo quando fu legale divorziare”.
Fu proprio lui a incentivarla a scrivere. “Nel 1972, ero diventata madre, cominciai a scrivere una cosa per raccontare a mio figlio la mia famiglia. Mio marito mi vide ammonticchiare fogli e volle leggerli. Dopo, trovo un foglietto sul tavolo: disgraziata, stanotte non sono riuscito a dormire, stai scrivendo un romanzo. Mi disse: ora tu scrivi, io ti sistemo il manoscritto. Il suo lavoro con me è stato muovermi critiche. I primi tre o quattro libri erano scritti così, poi, lui si ammalò di Parkinson e smise. Ma le sue critiche ancora mi ronzano nelle orecchie”.