Cosa sta succedendo in Svezia? Il Paese scandinavo è sotto accusa: già qualche giorno fa il ministro della Salute aveva ammesso di aver fallito nella lotta al Coronavirus e in particolar modo nella cura degli anziani, secondo dati che avevano evidenziato una pesante carenza nel personale sanitario impiegato negli ospizi. Poi, la notizia secondo cui la Svezia ha un tasso di mortalità al Covid-19 più alto che negli Stati Uniti; ora questa nuova accusa che si legge sulla BBC, arrivata da Lili Sedghi. Figlia di Reza, morto di Coronavirus in una casa di cura senza che nessuno lo visitasse nel giorno del decesso, come ha riferito. Un’infermiera le ha detto che nelle ore precedenti gli era stata data la morfina ma non l’ossigeno, e lo staff non ha chiamato l’ambulanza per il trasporto all’ospedale: “Nessuno era lì ed è morto da solo: è così ingiusto” ha raccontato la figlia.
Delle accuse rivolte alla sanità svedese ci eravamo occupati, ma il quadro sembra peggiorare: i dati che l’Agenzia di Sanità Pubblica ha riferito alla BBC stabiliscono che, al 14 maggio, il 48,9% dei morti per Coronavirus nel Paese risiedevano in case di cura. Si parla ancora una volta di come le misure restrittive, come il divieto di fare visita ai parenti negli ospizi, siano arrivati troppo tardi; allo stesso modo, è altamente possibile che alcune persone degli staff siano andate al lavoro nonostante mostrassero sintomi da Covid-19. Ma il problema è più ampio: come si legge sulla BBC, un numero crescente di operatori sanitari nelle case di cura sta criticando il protocollo sanitario che scoraggia il personale rispetto al ricovero dei pazienti in ospedale, e previene dall’amministrazione di ossigeno senza l’approvazione di un dottore, che sia parte di una cura o un semplice palliativo.
SVEZIA, ALTRE ACCUSE ALLE CASE DI CURA
“Ci hanno detto che non dovremmo mandare nessuno in ospedale, nemmeno un 65enne con molti anni da vivere” ha accusato Latifa Lofvenberg, che ha lavorato in varie case di cura a Gavle (Nord di Stoccolma). “Molti potrebbero vivere a lungo con i loro cari, ma non ne hanno la possibilità perché non vanno in ospedale” ha proseguito. “Semplicemente, soffocano fino alla morte: è davvero doloroso rimanere lì a guardare”. Lei stessa oggi lavora in un reparto Covid in un ospedale di Stoccolma, e dice che ben pochi ricoverati sono anziani: la maggior parte è gente nata negli anni Novanta, Ottanta e Settanta. Le fa eco un paramedico che ha mantenuto l’anonimato, sostenendo come da quando sono state introdotte le misure restrittive negli ospizi non gli siano più arrivate chiamate; mentre Mikael Fjallid, consulente privato in anestesia e terapia intensiva, è convinto che i decessi da Coronavirus sarebbero molti meno se solo nelle case di cura il personale fosse autorizzato ad amministrare l’ossigeno senza aspettare il parere degli specialisti.
“Se oltre il 20% dei pazienti sopravvive senza nulla, si dovrebbe assumere che la stessa percentuale sarebbe sopravvissuta con ossigeno supplementare” ha detto Fjallind. Intanto però la Svezia, con 10458 morti, sta vivendo il periodo con la mortalità più alta dal 1993, quando si era diffuso un’influenza stagionale; e le linee guida del governo non sono chiare per stessa ammissione del dottor Thomas Linden, del Comitato Nazionale della Sanità e Welfare, che ha detto come il personale deve “pesare professionalmente i benefici e i rischi di altri fattori”, come ovviamente il contagio da Coronavirus, e valutare i costi del trasporto dei pazienti in ospedale. Inoltre, circa le cure palliative, ha affermato che non è obbligatorio fornire ossigeno ai pazienti e che “le opinioni sui benefici nell’amministrarlo sono discordanti tra una regione e l’altra”.