È possibile costruire un mondo socialmente e ambientalmente giusto? La domanda è impegnativa, ma a tracciare le possibili direttrici per una risposta sarà monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, nel suo intervento alla conferenza finale “Humana dimora. Il modello lombardo di sostenibilità come crescita inclusiva del capitale umano, naturale ed economico”, che a Milano (27 novembre, ore 10, presso il Palazzo della Regione Lombardia) chiuderà il II Forum regionale per lo sviluppo sostenibile promosso da Fondazione Lombardia per l’ambiente. All’incontro parteciperanno l’economista Partha Dasgupta; Giovanna Iannantuoni, rettore dell’Università Milano Bicocca; l’architetto Stefano Boeri; Antonio Ballarin, presidente Comitato scientifico Fondazione Lombardia per l’Ambiente; Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà; Raffaele Cattaneo, assessore Ambiente e Clima di Regione Lombardia e il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini.



Monsignor Santoro, che ha guidato i lavori dell’ultima Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata a Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro, tutto è connesso, che si tenuta dal 21 al 24 ottobre proprio a Taranto, da sempre è impegnato nel sociale, seguendo ormai da anni l’annoso caso Ilva con i suoi risvolti non solo economici, ma anche ambientali. E i lavori della Settimana sociale hanno indicato un possibile percorso, preciso e concreto, per far sì che possa diventare obiettivo comune quanto suggerito da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, cioè il rispetto per il creato, per l’ambiente e per la natura.



L’appuntamento della Settimana sociale si è svolto poco prima che si tenesse a Glasgow il convegno mondiale COP26 sullo stesso tema, che però ha in parte deluso le aspettative. “Nonostante i risultati non abbiano raggiunto quanto promesso prima dei lavori, e cioè la completa decarbonizzazione, sono stati comunque compiuti degli importanti passi avanti. Per esempio, l’aver fissato un obbiettivo per il rallentamento dell’aumento della temperatura è un fatto positivo, anche se è sparita la data del 2050, e questo resta un nodo serio, a causa della resistenza di Cina e India. Ma non è mancata alla fine la bella sorpresa dell’accordo firmato fra la stessa Cina e gli Stati Uniti”.



Secondo monsignor Santoro, il messaggio del Papa contenuto nella sua enciclica si è comunque fatto strada anche a Glasgow: “In particolare, il concetto di ecologia integrale, che auspica un’attenzione maggiore a tutti i problemi in gioco senza separare l’ambiente, il lavoro e la salute in un coro più ampio di popoli e nazioni che sostengono questa visione globale”.

Il parziale fallimento di COP26, ammesso dagli stessi organizzatori, e la rabbia dei giovani contro lo scarso impegno dei governi mondiali rappresentano le due facce di una palese difficoltà ad affrontare il tema della tutela ambientale. C’è, a suo avviso, un’incapacità a indicare con chiarezza un cammino per il bene comune?

È giusta l’esigenza, portata avanti dai giovani, di arrivare a una riduzione completa delle emissioni di CO2, legate particolarmente al carbone. I risultati sono effettivamente al di sotto delle aspettative: si era partiti per eliminare i piani energetici a carbone e si è arrivati a una loro riduzione. Non è quello che ci si attendeva, però questa riduzione, se sarà significativa, già oggi impegna tutti, sia in vista del 2030, quando si dovrà essere scesi a un aumento della temperatura terrestre che sia inferiore a 1,5°C, sia ancor più e con prospettive più esigenti in vista del 2050.

Ritiene quindi che, nonostante il risultato, sia emersa adesso un’attenzione maggiore nel porre al centro il bene comune globale?

Sì, tutti sono più coscienti che, se non si punta a questo, è la fine per tutti. E ciò è stato ancor più messo in plastica evidenza dall’arrivo del Covid. Aver indicato un obiettivo per il contenimento dell’aumento della temperatura è un fatto importante, anche se non è stata totalmente accolta la data del 2050, e questo resta un nodo serio, a causa della resistenza di Cina e India. La sorpresa positiva è arrivata dall’accordo fra la stessa Cina e gli Stati Uniti. Quindi sono emersi elementi contrastanti. Qualche passo avanti si è registrato anche contro la deforestazione selvaggia dell’Amazzonia, grazie a un accordo approvato anche dal Brasile.

Il messaggio del Papa si è fatto strada anche a Glasgow?

Sì. Molte nazioni hanno accolto questa visione globale del problema, non più in modo isolato. È evidente che lo sviluppo economico e sociale non può più essere a spese dell’ambiente, la cura della casa comune esige di saper ascoltare insieme il grido dei poveri e il grido della Terra.

In che senso?

C’è un’attenzione maggiore a tutti i problemi in gioco e un coro più ampio di popoli e nazioni che sostengono questa visione globale.

Il prossimo convegno di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, a cui Lei prenderà parte, intende proporre un ulteriore passo avanti nell’approfondimento dell’ecologia integrale. Come questo concetto di Papa Francesco interpella oggi politici, imprenditori e gente comune? 

L’ecologia integrale e lo sguardo contemplativo sulla realtà rappresentano i punti fondamentali della Laudato si’, utili per indicare una direzione. Lo sguardo contemplativo, che è stato anche al centro della nostra Settimana sociale, si oppone allo sguardo predatorio della realtà. Anche a Glasgow è stato ripreso il concetto di ecologia integrale in una visione non appena legata a singoli Stati, ma multilaterale. Si comincia ad aver presente un bene comune globale.

C’è un certo ecologismo che nei fatti ritiene l’uomo un male per il pianeta. Benedetto XVI dice che l’ambiente è opera mirabile del Creatore che reca una grammatica che indica finalità e criteri. Secondo lei, sono due posizioni antagoniste?  

La prospettiva è stata approfondita da Francesco quando spiega che il male è l’eccesso antropologico. L’uomo che si considera autonomo rispetto alla natura, all’economia, allo sviluppo della vita e anche al significato della Vita, che è Dio. Ma per avere la visione dell’ecologia integrale non possiamo appiattirci su un semplice naturalismo. L’uomo ha un compito, una missione, descritti nel secondo capitolo della Genesi: custodire la terra e coltivarla, non depredarla.

Quali passi concreti ci può indicare per un mondo socialmente e ambientalmente giusto?

Nel corso della Settimana sociale abbiamo indicato dei passaggi molto concreti, a partire da quello delle comunità energetiche. Se le 25.610 parrocchie del nostro paese iniziassero a essere comunità energetiche basate cioè su energie alternative, già si farebbe un notevole ricorso alle fonti rinnovabili, rendendo così possibile giungere all’obbiettivo emissioni zero entro il 2050.

Oltre a questo?

Il secondo passo che abbiamo indicato è quello di un impegno nella finanza responsabile. Chiediamo che le diocesi non investano in fondi legati al carbone o a materiali inquinanti, ma che siano carbon free. Mettendo, cioè, in pratica una finanza al servizio dell’uomo e una capacità di allocare valore economico a favore della dignità dell’uomo. Terza indicazione data: acquistare prodotti agricoli da filiere libere dallo sfruttamento legato al caporalato. Quando si scelgono prodotti alimentari dal prezzo molto basso, è quasi certo che provengano dallo sfruttamento e dal sangue delle persone, quindi comprare prodotti caporalato free.

La cosa che l’ha colpita di più?

La proposta contenuta nel manifesto dei giovani, un terzo dei partecipanti alla Settimana erano infatti giovani, ragazzi e ragazze. Hanno proposto un’alleanza intergenerazionale tra forze di buona volontà di tutto il paese, pensando a imprenditori giovani che non guardino solo al profitto, ma anche allo sviluppo sociale e ambientale.

(Paolo Vites) 

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